Una vendetta preventiva, un gioco di parole e cinematografico: Prevenge, l’incrocio tra l’inglese prevent (prevenire) e revenge, vendetta, è il titolo del film d’esordio dell’attrice inglese Alice Lowe, che figura Fuori Concorso tra gli eventi speciali della settimana della critica. La protagonista, insieme alla stessa attrice e regista, è la figlia che porta in grembo nel film e all’epoca delle riprese nella vita reale, che parla alla madre da dentro la pancia e le dice cosa fare: vendicarsi appunto, di persone «inerentemente mostruose». Ruth, la donna già quasi al nono mese, è infatti in preda a una follia omicida sin dalle prime inquadrature del film: visita un negozio di rettili e altri animali esotici, si fa mostrare una tarantola dal viscido commesso incline al doppio senso col pretesto di volerla regalare al figlio, quando lui è chinato a prendere un ragno lo sgozza senza preavviso.
Però Prevenge non è tanto un horror quanto una commedia, un esercizio di cinema in cui sicuramente ha un ruolo importante l’esordio di Lowe a teatro come attrice e co-autrice di spettacoli sperimentali e surreali. La trama folle però adombra ed esorcizza tematiche di ben altra consistenza e realismo: la depressione pre parto con annessa psicosi, la solitudine, l’elaborazione del lutto.

Ruth, scopriamo poco a poco, ha infatti perso il compagno e padre della figlia senza nome – e che continuerà sempre a essere chiamata solo baby – morto in un incidente mentre faceva un’arrampicata. Rimasta sola, inizia la sua vendetta contro coloro che ritiene responsabili della sua morte e non solo, contro un catalogo di tipi umani – uomini e donne indistintamente – appunto mostruosi e preventivamente puniti , in un crescendo di violenza e gore.

Gli omicidi, sempre accompagnati da una forte dose di humour molto inglese, sono la parte più riuscita di un film imperfetto – soprattutto quando valica la soglia del divertissement di genere per confrontarsi con gli aspetti più tragici del dolore di Ruth. Un film però in cui la bellezza coincide con la stranezza di un progetto decisamente personale, spiazzante e sincero soprattutto nella finzione, quando coincide con la soggettiva folle di Ruth e del suo gesto liberatorio di tagliare senza remore gole e altre parti del corpo.

Come nel caso di Dan il dj di musica anni Settanta, prototipo del laido bamboccione da cui la protagonista si fa rimorchiare per «giustiziarlo» nella casa dove vive con la madre affetta da demenza senile, che alla vista del cadavere insanguinato del figlio sul tappeto osserva soltanto che servirà molta candeggina per rimettere in ordine.

Più ci si avvicina all’epilogo e più i registri si mischiano: horror, commedia, il dramma del lutto e l’intimo bisogno di esorcizzare il «terrore» per la nascita di un figlio vanno a sovrapporsi in un mélange che porta Prevenge su toni più cupi e meandri più paurosi. Lasciando un finale aperto, non tanto alla possibilità della redenzione quanto alla rivendicazione della stessa follia.