Nel paese di Bengodi «si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua».

 

 

Questo è il paradiso del cibo descritto da Boccaccio nella nota novella del Decameron Calandrino e l’elitropia, la sua personale versione del paese di Cuccagna, luogo mitico in cui regna l’abbondanza, il cibo è ricco, grasso e a portata di tutti, il benessere è uno stato di fatto. La prima occorrenza di un sogno così largamente condiviso si ha nel fabliau de Coquaigne del XIII secolo e nella sua diffusione si associa spesso al sogno di una pancia sempre piena una connotazione di piacere carnale soddisfatto. Un mito che nasce nel Medioevo e che resiste forte e radicato fino al Seicento, segno di una situazione alimentare sempre precaria, che non permette alla maggior parte del popolo di mangiare liberamente e nelle quantità desiderate.

 

 

Lo spettro della fame è sempre presente e per questo esorcizzato in alcune spettacolari manifestazioni di abbondanza, concentrate in pochissime occasioni in cui si ostentano grandi quantità di cibo preparate per festeggiare particolari eventi o ricorrenze religiose, come i matrimoni o il Natale.
Alcuni secoli dopo, in Occidente, il tanto sognato paese di Cuccagna sembra essere diventato realtà: scomparso lo spettro della fame ogni sorta di cibo è facilmente reperibile ovunque, il vincolo della stagionalità è stato superato, il mercato globale consente ogni genere di esotismo sulla tavola di tutti.

 

 

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Tutto sembrerebbe perfetto, almeno da questa parte di mondo. Eppure niente è come sembra: se la scarsità ha fatto sognare per secoli una realtà simile a quella in cui viviamo, l’abbondanza, conquistata con un grande dispendio di risorse ed energie, sembra qualcosa di difficilmente gestibile, che genera nuovi e contraddittori problemi legati all’alimentazione, alla produzione del cibo, allo sfruttamento delle risorse ambientali e umane.

 

 

La produzione del cibo è diventata un fatto globale e non più strettamente locale o nazionale: la possibilità di avere in ogni momento dell’anno qualsiasi genere alimentare sulla propria tavola, dopo un primo periodo di euforia, è diventato invece un fattore critico. Stagionalità e località, che fino a un secolo fa erano percepiti più che altro come vincoli, si sono trasformati oggi invece in fattori da riscoprire e a volte reimparare: se fino agli anni Cinquanta tutti conoscevano l’avvicendarsi delle varietà di frutta e verdura, oggi sono dei poster al supermercato, o tabelle su internet a ricordarci quando le zucchine o i cavoli sono di stagione e perciò più gustosi e acquistabili a un prezzo più basso. Molti cibi poi sono importati dagli angoli più remoti del globo e le nostre preferenze in fatto di frutta tropicale o caffè influenzano le economie di questi luoghi in maniera drastica e distruttiva. In un mondo di abbondanza s’impone l’istanza della frugalità, la necessità di una drastica decrescita economica, come ammonisce Serge Latouche.

 

 

Fare la spesa nasconde sempre più insidie, le etichette dei cibi ci parlano di additivi, esaltatori o eccipienti, con strani codici che pochi sanno decifrare: il cibo è a pieno titolo una merce di «consumo» e il consumatore è investito ogni giorno da moniti di consapevolezza, equità, eticità, salubrità che lo invitano a diffidare di quanto con leggerezza sceglierebbe tra i banchi del supermercato. Sempre più persone soffrono di ortoressia, una patologia nervosa che si manifesta con un controllo maniacale sul proprio cibo e sui pasti; ma le derive ortoressiche caratterizzano un’ampia parte della nostra società, le paure alimentari sono comunemente diffuse e portano a una domanda sempre più altra di controllo e qualità: basti pensare al successo del cibo biologico, delle certificazioni alimentari, dei disciplinari DOP, IGP, IGT, che stanno lì a garantire la qualità di un prodotto.

 

 

Anche i fattori sociali e psicologici che investono il cibo sono sempre più importanti, se lo spettro della fame sembra averci abbandonato, sono altri gli spettri che l’hanno sostituito: il mondo dell’abbondanza è anche il mondo dei disordini alimentari. Un accesso troppo facile e senza limiti alle montagne di cibo del paese di Cuccagna porta alla comparsa di nuove malattie, in primis l’obesità, tipica dei paesi ricchi, in cui regnano il benessere e l’abbondanza e la fame atavica si trasforma in patologia. Alla paura della fame si sostituisce allora la paura del grasso in eccesso, all’antico modello di bellezza pingue si sostituisce quello di assoluta magrezza, così sono sempre più diffusi i disordini alimentari come anoressia e bulimia e non solo tra le giovani ragazze. La privazione volontaria del cibo diventa un mezzo per rimodellare il proprio corpo e adattarlo a canoni distorti.

 

 

Così la Cuccagna realizzata è ben lontana dall’essere il paradiso del benessere, dietro al suo viso rotondo e ben pasciuto l’abbondanza nasconde risvolti inquietanti e sono sempre più diffuse le scelte alimentari eticamente connotate per contrastarli. Un rapporto sereno col cibo sembra ancora un miraggio lontano e la necessità di dibattere e investigare appare come un imperativo categorico.