I timori generati dal coronavirus non frenano i coloni israeliani insediati nella Cisgiordania occupata militarmente. Già il 28 febbraio avevano provato a raggiungere il sito delle Khirbet al Arma – in arabo le Rovine di al Arma, conosciute in ebraico come Aruma -, situate su di un’altura alle porte del villaggio di Beita, a sud di Nablus. Ieri si sono messi in movimento per un nuovo “tour archeologico” incontrando ancora l’opposizione di centinaia di abitanti di Beita che hanno issato la bandiera palestinese sul sito. La tensione è rapidamente sfociata in scontri tra l’esercito israeliano, schierato a protezione dei coloni, e i palestinesi che vedono in questi tour la fase preliminare della fondazione di un nuovo insediamento israeliano. Sotto i colpi sparati dai soldati è caduto Mohammad Hamayel, 15 anni, che, raggiunto alla testa da un proiettile, è spirato all’ospedale Rafidia di Nablus. Almeno 17 i feriti, uno dei quali, un altro adolescente, è in gravi condizioni. Finì allo stesso modo il 28 febbraio: in quell’occasione ci furono 93 feriti palestinesi, non pochi dei quali da proiettili.

 

I coloni, in prevalenza provenienti dagli insediamenti di Elon Moreh e Itamar, roccaforti nel nazionalismo religioso più estremo, affermano di voler soltanto visitare Khirbet al Arma, la biblica Aruma, località citata nel Libro dei Giudici, dove si sarebbe stabilito Abimelec. Non ci credono gli abitanti di Beita – villaggio divenuto noto durante prima Intifada palestinese contro l’occupazione (1987-1993) -, che temono una manovra volta a portare caravan e container sul Jabal al Arma  in modo da dare vita all’ennesimo avamposto coloniale che sarà poi riconosciuto dal governo israeliano. E sono convinti che ad incoraggiare i coloni sia stato il Piano Trump (Accordo del secolo), annunciato dagli Usa il 28 gennaio, che apre la strada all’annessione unilaterale a Israele della Valle del Giordano e delle ampie porzioni di Cisgiordania dove sono situate le colonie.

 

Anche il segretario generale dell’Olp Saeb Erekat, ieri ha fatto riferimento al Piano Trump quando ha denunciato la costruzione, approvata dal ministro della difesa israeliano Naftali Bennett, della «strada sovrana» che permetterà ad Israele di edificare anche nella area strategica E1, tra Gerusalemme e l’insediamento coloniale di Maale Adumin ad est della città.  «Siamo all’inizio dell’attuazione del piano di annessione e di apartheid», ha protestato Erekat. «Inizia sempre così, con la costruzione di strade. Ci sono già tante strade in Cisgiordania che i palestinesi non possono usare», ha ricordato.

 

La «strada sovrana» è uno sviluppo della tangenziale aperta da Israele poco più di un anno fa intorno a Gerusalemme che, con un muro alto diversi metri, divide gli automobilisti israeliani da quelli palestinesi. Questi ultimi alle varie uscite della tangenziale sono indirizzati solo verso la Cisgiordania e per entrare a Gerusalemme, come fanno senza problemi i coloni, devono transitare per posti di blocco presidiati da polizia ed esercito di Israele ed esibire un permesso delle autorità per entrare nella città. I palestinesi la chiamano la «strada dell’apartheid». La nuova strada porta i veicoli palestinesi in una sorta di tunnel, lungo un muro, tra i villaggi a sud e a nord di Gerusalemme, tenendoli ben separati da quelli israeliani. Per Bennett la strada servirà a «prevenire attriti» tra i palestinesi e i coloni (illegali in Cisgiordania secondo le leggi internazionali). La strada isolerà e separerà la città santa dai villaggi palestinesi che la circondano e contribuirà a chiudere la porta alla creazione di uno Stato palestinese territorialmente omogeneo, con Gerusalemme Est come capitale.