Alexis Tsipras ha voluto dimostrare che la Grecia non intende essere un esecutore passivo delle decisioni prese a Bruxelles.

Nel suo incontro con Angela Merkel e Francois Hollande, il primo ministro greco ha posto l’accento, come era normale che fosse, su due questioni di primaria importanza: la richiesta di non far chiudere i confini europei, per non impedire la circolazione dei profughi e che si concluda a stretto giro la valutazione del modo in cui la Grecia sta applicando quanto pattuito ad agosto con le istituzioni creditrici. Con il ritorno, quindi, nei prossimi giorni, dei rappresentanti dei creditori nella capitale greca.

La reazione, per ora, sembra essere stata positiva, anche se come sempre, in questi casi, bisognerà vedere cosa succederà da oggi in poi e al nuovo vertice agli inizi di marzo.

Atene vuole rendere assolutamente chiaro che non intende continuare a portare, quasi da sola, il peso dell’enorme problema dell’immigrazione.

Il governo ellenico ha reso noto che sono pronti quattro dei cinque hotspot richiesti dai partners europei e che quindi, anche l’Europa deve ottemperare a quanto pattuito per i ricollocamenti. L’esecutivo di Alexis Tsipras si aspetta che la pressione politica sulla Grecia diminuisca quanto prima e che anche i profughi, ospitati in strutture sotto la diretta responsabilità dello stato greco, non siano più vittime di sfruttamento anche da parte di pochi personaggi senza scrupoli, che non hanno nulla che fare con il forte spirito di ospitalità del paese.

Allo stesso tempo, però, il governo di Syriza sa bene che una chiusura dei confini, ed un «effetto imbuto», che faccia rimanere in Grecia decine, e forse centinaia di migliaia di profughi e migranti per un lasso di tempo non meglio precisato, potrebbe creare una situazione praticamente esplosiva.

In un paese che lotta ancora per uscire dalla crisi economica, che attende l’inizio delle trattative per la ristrutturazione de debito e che sta pagando sei anni di feroci politiche neoliberiste imposte dalla Troika, permettere che l’Europa si tiri fuori dalla gestione del problema dei profughi, significa rafforzare nazionalismi ed estremismi, che rimandano direttamente anche all’ideologia farneticante di Alba Dorata.

Alexis Tsipras, con il riferimento a un possibile esercizio del potere di veto, manda un messaggio tanto semplice quanto chiaro: la difesa esclusiva degli interessi nazionali, da parte di molti paesi dell’Europa centrale, rischia di bloccare, di portare al collasso, l’intero meccanismo europeo.

Il leader della sinistra greca è cosciente che deve dare fondo a tutte le sue capacità per superare un momento delicato: oggi e domani il parlamento di Atene discuterà il «programma parallelo» di Syriza, che intende, tra le altre cose, offrire un’assistenza medica gratuita e dignitosa a due milioni e mezzo di greci che ne sono sprovvisti.

Lunedì, poi, Tsipras incontrerà i rappresentanti degli agricoltori che sono in mobilitazione permanente -ormai da settimane- contro la riforma previdenziale e fiscale richiesta dall’Europa. Secondo quanto filtrato sinora, il governo proporrà un aumento della tassazione più «morbido», arrivando alla percentuale del 20% solo nel 2021.

Oltre a tutto ciò, dovrà essere deciso quali saranno le quattro reti private che riusciranno ad assicurarsi le frequenze per trasmettere in tutto il paese, con una riduzione del 50% rispetto ai canali tv, appartenenti a imprenditori dei media, oggi sul mercato.

È chiaro, quindi, che il governo guidato dalla Coalizione della Sinistra Radicale Greca non può permettersi di mantenere aperto un fronte importante e difficilissimo da gestire, come quello dei profughi. Alexis Tsipras preferisce alzare la voce oggi, per non doversi pentire, domani, di essersi mostrato troppo accondiscendente.