Sicché è ufficiale: il Senato polacco ha approvato in via definitiva la legge 104, che punisce chi osi sostenere una qualche complicità o connivenza di cittadini e gruppi e istituzioni della Polonia con il Terzo Reich.

Come foglia di fico la legge (che peraltro attende la firma del presidente della Repubblica Duda), concede libertà di parola in ambito «accademico e artistico», lasciando nell’indeterminato entrambi. La Polonia avanza a grandi passi sulla strada del rifiuto della storia: aveva incominciato con la damnatio del «passato regime comunista», come una intollerabile macchia rossa sulla candida veste di un paese di immacolata purezza; un percorso che comprende atti punitivi retroattivi verso chi abbia avuto a che fare con quella Polonia (se davvero si volesse procedere quanti polacchi si salverebbero?). Negli scorsi decenni, specie sull’onda del «santo papa», il polacco Wojtyla, è emerso un rancido nazionalismo, una pesante intolleranza antimoderna, un asfissiante cattolicesimo oltranzista. Basti pensare alla reintroduzione del «Catechismo del bambino polacco», giustamente cancellato nella stagione socialista, e ora ritornato sui banchi delle scuole primarie: un indigesto e pericoloso centone di luoghi comuni cattolico-sciovinisti.

La legge, espressione di un ultra-revisionismo, sicuramente caratterizzabile come «rovescistico», presenta inquietanti elementi di carattere etnico: in realtà si riprende un’idea niente affatto nuova, tante volte circolata nei discorsi dei potenti, ossia, come ha scritto Moni Ovadia su queste pagine, il «concetto fondamentale di ontologica innocenza della propria gente. I colpevoli sono sempre gli altri». Infatti, i polacchi, mentre si dichiarano orgogliosamente estranei a ogni collaborazionismo con i tedeschi occupanti se la prendono, ex post, con gli ucraini. Fermo restando la complicità di questi con i nazisti, le cose in realtà sono un po’ più complesse e il collaborazionismo trovò ampio riscontro in un paese in cui il virus antisemita era ben operante e tuttora niente affatto spento. E suona grottesca la reazione del governo israeliano, subito spalleggiato dall’Amministrazione Usa, che tuona contro quello polacco, accusandolo del crimine di negazionismo, dopo che finora si era palesata una incredibile alleanza di fatto tra i due governi, con reciproco sostegno: contro i palestinesi, per quello israeliano, contro i comunisti (passati presenti e futuri), per quello polacco.

Siamo davvero in una brutta temperie. Sono tempi bui per la verità storica. Svilita, ridotta a opinione, persino negata nella sua stessa possibilità di esistere. Il postmodernismo culturale sta procedendo come un gentile rullo compressore. Gli storici vengono espunti dal dibattito pubblico, proprio quando vi sarebbe bisogno di una loro presenza forte, in difesa della scienza di Clio: essa, la Storia, prima è stata derubricata a doxa, dal pervasivo incedere dei media secondo l’immarcescibile modello Porta a Porta (ossia: «questa è la sua opinione, caro signore», dove il signore di turno è uno studioso titolato con decenni di lavoro di ricerca alle spalle, la cui «opinione» viene messa a confronto con quella dell’ospite di turno che immancabilmente esordisce: «non ne so nulla, ma penso che…»).

Poi la storia è divenuta campo di scorrerie di politici i quali pretendono di stabilire, con leggi apposite, quali debbano essere le «verità» concesse, quelle negate, quella improferibili, e quelle al contrario meritevoli di essere affermate, codice penale e leggi dello Stato alla mano, quali verità ufficiali. Le scellerate posizioni dei negazionisti, ossia di coloro che hanno preteso negare l’orrore sterminazionista dei lager nazisti, invece che a una robusta risposta corale, sul piano scientifico e culturale, hanno prodotto una pericolosa risposta giuridico-penalistica. Sempre di più di qua e di là dell’Atlantico sono i Parlamenti a decidere i limiti della libertà di ricerca e di dibattito, e si affermano grottesche, asserite «verità di Stato», che nulla hanno a che fare con la verità della storia, ma sono mere espressioni di rapporti di forza. Mentre i dirigenti israeliani minacciano sfracelli contro i colleghi polacchi, il parlamento di Tel Aviv sta approvando a sua volta una incredibile legge liberticida che punisce con pesanti pene detentive chi neghi o «minimizzi» la Shoah. E nel dibattito interno si arriva ad accusare i palestinesi di complicità con il nazismo, mentre si nega il loro status di vittime di una occupazione coloniale, e di una quotidiana oppressione.