Il Village Mably, cuore pulsante delle notti rosa del FIFIB scandite da proiezioni speciali e visionari dj, è in pieno caos pre-serata ed è qui che incontriamo Corneliu Porumboiu subito dopo la masterclass «animata» da Olivier Père che ha seguito la proiezione dell’ultimo film del regista rumeno Comoara, presentato lo scorso maggio a Cannes nella sezione Un Certain Regard che, nel 2009, regalò a un altro film di Porumboiu, Politist, Adjectiv, il premio della Giuria. Entusiasta e bonario, nonostante un leggero jet-leg e la massima concentrazione su un film che sta scrivendo proprio in questi giorni «sul linguaggio e sulla libertà di parola», il regista rumeno, negli ultimi dieci anni, ha cesellato un cinema capace di misurare ogni dettaglio, ogni parola e ogni silenzio, attraversato da un umorismo diffuso, tenue, a volte freddo, tra Jacques Tati e Eugène Ionesco. Porumboiu scardina la vita quotidiana del proprio Paese, e del bestiario umano che lo popola, grazie a un linguaggio che modifica costantemente grammatiche minimaliste e realistiche ad eccezione però del suo ultimo fiabesco film che racconta la storia di Costi, giovane e ordinario padre di famiglia che si lascia convincere da un vicino bisognoso di soldi, nonostante una razionale incredulità, a cercare un tesoro sotterrato in un vecchio giardino…

Che cosa ha ispirato Comoara? 

Volevo fare un doc su un amico regista, Adrian Purcarescu, il quale cercava disperatamente di finire un film che non riusciva a completare a causa di problemi finanziari. Abbiamo lavorato insieme al progetto ma c’era qualcosa che non mi convinceva fino in fondo. Così ho pensato ad altre modalità d’approccio alla storia, e proprio in quel periodo Adrian mi ha raccontato di una leggenda locale che riguardava un suo antenato. Quest’uomo aveva seppellito, narra la leggenda, un tesoro in un giardino, prima che la Romania fosse nazionalizzata, e la storia mi colpì così tanto che andammo in questo luogo per localizzare il tesoro con dei rilevatori metallici ma ovviamente non trovammo nulla.

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Subito dopo cominciai a scrivere la sceneggiatura.

Questo film segna la tua prima esperienza con la ripresa digitale…
Ho provato a girare qualche scena di Comoara sia in pellicola che in digitale e alla fine ho scelto il digitale per ragioni estetiche. Al contempo sono molto tradizionalista perché, persino nella mia scuola di cinema, lavoravamo con il 35mm e credo che il mio modo di fare cinema sia molto influenzato da quell’apprendistato. Sono molto preciso quando devo pensare alle inquadrature e ci sono cose che possono essere fatte, soltanto con la pellicola ma in Romania non ci sono molti soldi per fare film quindi, con la pellicola a nostra disposizione, dobbiamo essere molto attenti. Dopo aver scelto di girare in digitale, ho cercato degli attori che potessero dare un qualcosa in più rispetto alla sola recitazione. Credo sia comune a molti registi, non certo però per uno, ad esempio, come Hitchcock.

Nel film, come anche nei precedenti, troviamo dei riferimenti precisi al recente passato della Romania. Quanto è importante per te il ruolo della Storia nella scrittura di un film? 

In Comoara, il giardino è per me una grande metafora della storia rumena. L’ho concepito fin da subito così perché penso che ognuno di noi sia figlio della storia del proprio Paese e in tutto il mio cinema credo ci sia questa sensazione, questa mia visione del mondo. Credo che tutti i film siano in qualche modo politici, come del resto lo è il mondo, a cominciare dai rapporti fra gli esseri umani, e che ogni regista debba dare una forma a quello che accade nel passato e nel presente della propria nazione. In Comoara, questo giardino ha cambiato proprietario moltissime volte ed è così che ho cominciato a interrogare me stesso sulla nozione di proprietà, sul movimento di appartenenza dei luoghi fisici.

La nozione di proprietà in che misura si lega al passato e al presente di una nazione? Sembra che anch’essa giochi una funzione specifica all’interno del tuo film, come il ruolo della Storia…

La concezione del possesso è legata a quello che hai e a quello che decidi di condividere con le altre persone ma credo che sia una cosa specifica per ogni nazione. La Romania, ad esempio, negli anni ’40 era un paese ancora scisso fra Medioevo e industrializzazione e il comunismo ha cambiato radicalmente quella società, imponendo una certa visione di proprietà comune anche se non credo che nel mio paese ci sia stato un vero movimento di sinistra, come del resto non c’è adesso. L’importanza della nozione di appartenenza, fisica e non come nel caso di Comoara, sta nella ricerca delle proprie origini attraverso i passaggi di proprietà ed è così che si risale alla Storia, individuale e politica di ognuno di noi, e la si interroga.