La distruzione simbolica e collettiva del mezzo televisivo ad opera di Giacomo Verde ha aperto la XXIII edizione di Invideo (fino al 4 novembre, www.mostrainvideo.com), storica rassegna milanese di video e cinema, quest’anno nel segno del pioniere della video arte Nam June Paik. Al genio di Paik, scomparso nel 2006, il festival dedica infatti un’ampia retrospettiva che affianca la selezione internazionale: trentacinque titoli, da oltre quindici paesi, e numerosi eventi all’insegna della sperimentazione e della ricerca.
Tra le tante suggestioni di quest’anno spicca il focus sulla regista italo-tedesca Caterina Klusemann, e sul suo cinema di videoscrittura in prima persona. Ima e Georg, sono i primi due capitoli di una personalissima trilogia che scava nel passato della famiglia della donna per decriptare dolori e incognite del presente e rileggere storicamente tragedie del Novecento e utopie figlie dei fiori senza nessuna volontà di mascherare o eludere la Storia. Come ci ha raccontato Klusemann, qualche giorno fa al telefono: «Sherman’s March di Ross McElwee (protagonista della retrospettiva della prossima edizione di Filmmaker – ndr) è stato il primo film che mi ha fatto capire la possibilità di legare l’aspetto privato a quello universale, di unire l’intimità di un racconto familiare in cucina alle fitte trame della Storia. Più avanti poi ho scoperto Alan Berliner e Jay Rosenblatt». Ima racconta infatti il dramma privato della nonna, scampata alle persecuzioni naziste, e il suo conseguente mutismo decennale su quel periodo buio, un silenzio capace però di tramutarsi in confessione e sguardo sul reale soltanto davanti alla macchina da presa «Per Ima la macchina da presa è stata il vero motore psicologico del film perché in un certo senso mia nonna aveva bisogno della presenza di un ’terzo’. Era consapevolissima della macchina da presa e ha cominciato a parlare, per la prima volta in trent’anni, soltanto quando l’ho tirata fuori la prima volta. La macchina da presa, dunque, funzionava anche per lei: a me dava il coraggio di chiedere, a lei la forza di raccontare». In Georg il processo di auto-cura compie un ulteriore salto in avanti grazie a un approccio pienamente documentaristico, che recupera testimonianze, viaggi e voci per ricostruire il passato del padre di Caterina, Georg Klusemann, artista tedesco che in piena adesione alla scelta hippie, si trasferì a Lucca, in un casolare di campagna per dipingere e vendemmiare. Georg però scompare quando la regista ha soltanto otto anni, e l’ennesimo lutto che colpisce la famiglia inspessisce ancor di più l’impossibilità di evocare il passato. «Prima dell’inizio delle riprese mi ero sempre rifiutata di guardare quei filmati in Super8 che si vedono nel mio film, sapevo della loro esistenza perché facevano parte di un film di quaranta minuti che un regista tedesco stava facendo su mio padre. Ho usato gli scarti di quel film e mi sono concentrata moltissimo insieme al montatore del suono per dare vita con i suoni e i rumori a quelle immagini».
Klusemann, ha portato a Milano anche un rough cut della terza parte della trilogia che raccoglie materiale degli ultimi quindici anni e si concentra sulla sua maternità. «Mi piaceva l’idea di mostrare al pubblico una ventina di minuti del lavoro che sto montando in questi giorni. Anche perché mi farebbe piacere che la gente, dopo aver visto uno o entrambi gli altri, parlasse con me per vedere se a loro avviso questo lavoro completa i precedenti. Il mio bisogno di filmare nasce anche dalla necessità di vedere la mia storia con gli occhi del pubblico».