Abbiamo incontrato lo scrittore e intellettuale egiziano, Sonallah Ibrahim, 79 anni, autore del romanzo Le stagioni di Zhat, appena uscito con la traduzione italiana di Elisabetta Bartuli per Jaca Book (pp. 391, euro 18). Ibrahim ha appena partecipato al SabirFest di Messina. Comunista, in carcere negli anni di Gamal Abdel Nasser, è stato tra i fondatori di Kifaya (Basta), movimento contro la rielezione di Mubarak nel 2005. Ibrahim ha appoggiato il colpo di stato militare di al-Sisi del 3 luglio 2013 ma si è poi dissociato dalla repressione in corso in Egitto e non parteciperà al voto del 17 ottobre.

Il suo libro racconta una parabola della storia egiziana da Gamal Abdel Nasser (la protagonista Zhat è figlia della rivoluzione) fino alla modernizzazione degli anni Ottanta e al capitalismo di Mubarak. Nasser e Sadat appaiono anche nei sogni dei protagonisti. È un romanzo sull’emancipazione di un popolo dall’occupazione britannica?
Gamal Abdel Nasser combatteva per la sua gloria. Ma la sua idea di gloria era connessa agli interessi delle persone. Ha preso delle decisioni che hanno cancellato lo stato feudale, ha nazionalizzato il Canale di Suez: sogno di vecchia data per gli egiziani. Ha compreso la necessità di migliorare il livello di vita delle persone costruendo un’industria nazionale. Ma questa è stata anche la causa della sua caduta insieme alle interferenze di Europa e Stati Uniti. Il suo successore, Anwar al-Sadat ha aperto le porte alle multinazionali e ha firmato l’accordo con Israele. Ha difeso e aiutato la crescita di una borghesia compradora egiziana: agenti delle aziende straniere. Hosni Mubarak ha proseguito su questa strada, facendo anche peggio. Quando la protagonista, Zhat, ha iniziato a mettere assieme gli oggetti per la sua abitazione, aveva i miei stessi elettrodomestici. Nel 1975, ai tempi del mio matrimonio, avevo in casa un piccolo frigorifero, di fabbricazione egiziana, che è durato per quarant’anni. Lo scorso anno ha avuto problemi. E così ho acquistato un Toshiba che, dopo qualche mese, ha iniziato già a non funzionare bene: questa è la tragedia di tutti gli egiziani.

Zhat in arabo significa «sé», ma siamo alle prese con un sé collettivo. È forse un’autobiografia?
Nei primi anni di Mubarak, c’era molta frustrazione. Cresceva la rabbia contro i gruppi politici e le persone erano deluse sia di Sadat che Mubarak. Cosa sarebbe successo, allora, se un manipolo di giovani, guidato da una donna, avesse ideato un’azione terroristica o un colpo di stato? Sarebbero partiti da un’azione precisa: sistemato un furgone con un equipaggiamento elettronico che avrebbe procuratoper procurare interferenze alle trasmissioni televisive. Sullo schermo sarebbe apparso Mubarak mentre diceva le sue solite bugie. A quel tempo lavoravo al titolo: «La principessa dalla grande energia interiore», pensavo più a una saga storica. Immaginavo un personaggio che avesse una grande capacità di azione: portare gli arabi contro i nemici. Poi mi sono reso conto di non avere sufficienti conoscenze degli apparecchi elettronici, né del funzionamento della tv. A quel tempo, non guidavo neppure. Sentivo la forza interiore di questa donna, ma anche la sua debolezza nei confronti dello stato e la legge. Il libro ha subìto una metamorfosi: la protagonista è diventata una donna normale. Ho eliminato «principessa», «energia»: è rimasto solo il «sé» (Zhat in arabo), quello di lei stessa e anche dell’Egitto.

Le vicende di Zhat e Abdel Meguid, suo marito, narrano anche l’affrancamento di una donna. I protagonisti da una parte sono completamente egiziani, dall’altra sono straordinari e diversi da tutti. Per esempio, Abdel Meguid accetta l’afasia di suo figlio e addirittura Zhat oscilla su quanto pagare un tassista, valutando il suo grado di povertà…
Puoi raccontare una storia straordinaria per rendere magnifici momenti ordinari. Abdel Meguid sognava di avere un figlio. È arrivato, ma è nato afono, poi ha preso a pronunciare le prime parole in inglese: ho rappresentato la tragedia educativa egiziana dove ormai sono comuni i negozi con nomi in lingue inglese (come Variety) trascritti con lettere arabe. Un altro incidente è accaduto con l’acquisto del videoregistratore da parte del vicino di casa. Il vicino lo usava per vedere film porno, all’insaputa di sua moglie, insieme ad Abdel Meguid. Non potevano farlo però di fronte a Zhat. Eppure, se li avessero guardati tutti e quattro insieme, la loro esistenza avrebbe potuto prendere un’altra direzione…

Il suo romanzo utilizza un registro assai ironico, che va di pari passo con le magistrali descrizioni del Cairo, la sua città. Come nasce questo stile?
L’ironia viene dalla frustrazione, devi essere molto arrabbiato da sfogarti prendendo in giro i tuoi colleghi. Come si può andare avanti così? I Fratelli musulmani camminano ogni giorno con la loro galabeya (tunica) e non realizzano che camminano sulla spazzatura. Dovrebbero pulire per essere puliti di fronte al loro dio.

Nella storia si innestano ritagli di giornale. Hanno un collegamento con i fatti narrati?
Ai cambiamenti del testo, rispondeva anche il mio stile, che si è colorato di sarcasmo per farsi beffe delle abitudini di vita dei protagonisti e dei loro sogni consumistici. Ho poi frugato nel mio archivio: fin da giovane, ho collezionato ritagli di giornale. Ho iniziato raccogliendo foto di attrici americane. Dietro quegli scatti, c’erano sempre commenti politici contro il governo. Ho cominciato così a interessarmi di politica e la casa si è riempita di ritagli. Mia moglie mi ha intimato di buttarli via oppure avrebbe chiesto il divorzio. Me ne sono liberato perché non volevo separarmi da lei. E ho riunito in un quaderno i soli ritagli di cui avevo bisogno. Ho subito avuto la sensazione di poterli usare in un romanzo. Poi ho deciso di includerli nella storia di Zhat.

Zhat avverte un continuo boicottaggio da parte dei colleghi dell’amministrazione pubblica dove lavora e della società egiziana in generale. Inizialmente, crede di essere percepita come comunista per i suoi legami con l’attivista Safeya: si velerà, per un periodo, pur di mettere a tacere queste voci. In Egitto è comune che una parte della società boicotti un’altra?
Attraverso le cronache, emerge un quadro tragico della violenza che circola al Cairo e si riversa sulle persone. Raccontare le vite dei personaggi non è sufficiente per mostrare che vivono in un paese corrotto. Il boicottaggio è una specie di illusione. Zhat inizia a immaginare cose che non succedono, per esempio quando entra in scena il ricco medico (il dottor Fresh) che rappresenta l’ingresso in società dei nuovi valori capitalistici e consumistici. A quel punto, Zhat getta sulle cose uno sguardo schizofrenico.

Lei affronta anche il tema dell’avvento del piccolo schermo nelle case e di come questo abbia cambiato le abitudini degli egiziani. Paradossalmente, il suo libro è diventato un telefilm di successo…
Quando mi sono sposato, ho deciso insieme a mia moglie di non avere una tv in casa. Vivevamo alla maniera degli intellettuali. Dopo quarant’anni, ne abbiamo tre più un’altra tv via cavo. Questo solo per dare un’idea della sua influenza nella vita delle persone.

Sta lavorando a un nuovo progetto dopo i racconti sui pesci e i delfini nel Mar Rosso che ha pubblicato recentemente?
Sì, a un romanzo che ho scritto quarant’anni fa e non ho mai pubblicato. Non volevo venisse usato contro la sinistra e ora ho deciso di pubblicarlo. Si intitola ’67 (l’anno di una delle guerre arabo israeliane, ndr).