«Mi attaccano perché faccio tutto a voce alta e senza paura. Ma non vuol dire rimanere indifferente di fronte a questo orrore continuo. La mia preoccupazione rimane sempre mia figlia». Laura Boldrini è una vera ossessione per i leoni da tastiera e non solo. Non c’entra il disaccordo con le sue battaglie, la violenza sulle donne, l’approccio razionale e umano alla questione migranti: impazziscono perché su di lei non va a segno una monumentale campagna minatoria.

Una campagna minatoria senza precedenti. Ieri una nuova tappa. Sulla rete è comparsa l’immagine della sua testa stretta in mezzo a un paio di cesoie e l’augurio di fare la fine di Pamela, la giovane uccisa e fatta a pezzi a Macerata, la sua città. L’hanno intercettata i «Sentinelli di Milano», l’hanno segnalata alle autorità competenti e però anche pubblicata senza cancellare il nome dell’autore. «È tempo di maldestri emuli, avvoltoi da social, disperati che provano, dispensando odio in rete, a essere considerati per cinque minuti nella loro vita», hanno scritto.

Boldrini gira l’ennesima pagina di un album degli orrori contro di lei che abbatterebbero chiunque al suo posto. Con una forza insospettabile. «Mi attaccano perché denuncio l’insorgere di gruppi fascisti che agiscono indisturbatamente sia sulla rete che sul territorio», spiega, «Perché combatto per i diritti delle donne e mi spendo affinché si possa vivere in una società coesa e senza discriminazioni». Quanto al doppio delitto di Macerata: «Ho parlato con la mamma di Pamela, la signora Alessandra, per esprimerle la mia vicinanza. Da madre, non riesco neanche a immaginare il dolore che prova. Una donna forte che con grande senso di responsabilità chiede giustizia, non vendetta. Sta dando a tutti noi una lezione di civiltà».

Due giorni fa era comparso un altro fotomontaggio: di nuovo la sua testa, stavolta mozzata, di nuovo minacce. Le descrizioni per quanto ci riguarda finiscono qui (il manifesto non si presta alla diffusione di queste immagini lesive, neanche per dovere di cronaca); questi cenni solo per raccontare a chi non frequenta la rete il linciaggio in corso contro la sua persona. Un crescendo di insulti, minacce, fake news virali, balle spaziali prontamente rilanciate da politici che fanno i finti tonti e intanto aizzano i loro veri fanatici.

Così era successo nel febbraio del 2014 quando il blog di Grillo megafona il post di un militante con una domanda: «Che fareste in auto con la Boldrini?». E quando nel luglio 2016 il leghista Salvini era salito su un palco a Soncino (Cremona) con una bambola gonfiabile: «C’è qui la sosia della Boldrini». Anche molte delle sue iniziative hanno scatenato gli hater: l’apertura della Camera ai partigiani nel 70ennale della Liberazione (l’aula strapiena intonò Bella ciao), l’invito alla camera di 1.400 attiviste contro la violenza sulle donne, novembre 2017. Lo scorso 26 gennaio i «giovani padani» di Busto Arstizio , in una festa tradizionale, mandano al rogo un fantoccio ispirato a lei . Dalla Lega era arrivata qualche parola di scusa, ma tante di minimizzazione.

Si scherza con il fuoco, e non è solo una metafora. La presidente tende a non enfatizzare questi casi e a non rappresentarsi come vittima di una persecuzione – effetto di un’antica disciplina delle femministe di raccontare la riscossa più che lo scacco per i torti subiti. Ma è stata lei a intitolare la commissione «sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio» a Joe Cox, la deputata inglese uccisa nel 2016 da un attivista di destra al grido «Britain first», la Gran Bretagna prima di tutto.

La sua sicurezza è garantita dalla vigilanza riservata a un presidente della camera. Quando lascerà l’incarico sarà il comitato per l’ordine e la sicurezza a valutare il grado di pericolo in cui si trova.
Contro Boldrini è un crescendo che procede a ondate, e le ondate dipendono dalla cronaca o dalle sue stesse battaglie. Nell’ottobre del 2017 lei decide di pubblicare i nomi degli «odiatori della rete» e di denunciarli. In altri casi, come per esempio il penultimo fotomontaggio contro di lei, il reato è procedibile d’ufficio. Identificato il responsabile, un ex barbiere di Cosenza che si è dichiarato vicino ai 5 stelle, si è ’scusato’ così: «Ero incazzato nero per come vanno le cose in Italia. Tutti questi immigrati». Ma è una goccia nel mare.

Non sempre i colleghi e le colleghe, anche della sua parte, le sono stati accanto, con lodevoli eccezioni. All’attenzione spasmodica dei suoi nemici non sempre è corrisposta l’attenzione politica dei suoi compagni. Boldrini forse paga la sua autonomia ( è candidata da indipendente nelle liste di Liberi e uguali). Solo ieri, per la prima volta davvero, si è scatenata la gara di solidarietà, non solo dalla sinistra ma anche dalle colleghe del Pd e di Forza italia.

«Non mi fermo», assicura lei. Ma com’è ovvio, la sua grande preoccupazione resta sua figlia, tenuta fin qui al riparo dalla dimensione pubblica. «Non auguro a nessun figlio di vedere sua madre rappresentata in quelle condizioni».