La macchina fotografica come forma di resistenza, espressione di rabbia che «trasforma il mondo a testa in giù», strumento per immagazzinare energia, come ci dice Vito Acconci in Fist (1969). Quest’opera che combina stampe ai sali d’argento e scritte con il gessetto è parte della selezione Camera as release, presentata da J.P. Morgan nell’ambito di Paris Photo 2014. Per questa 18/ma edizione che ha animato il Grand Palais (sotto la rinnovata direzione di Julien Frydman), l’orizzonte della fotografia si è ampliata, coinvolgendo trentacinque paesi, centoquarantatré gallerie e ventitré tra editori e dealer internazionali.

La manifestazione ha sottolineato l’interesse che quest’arte «giovane» si è conquistata nel mondo, anche attraverso la mostra Portrait of an Era: Early Photographers from South Asia (1860-1910). Solo un assaggio della collezione di oltre novantamila immagini della Alkazi Foundation for the Arts di New Delhi, creata negli ultimi trent’anni dal regista teatrale Ebrahim Alkazi. Tra le foto provenienti da noti studi fotografici come Dirga Man Chitrakar, Samuel Bourne, Felice Beato, Watts & Skeen c’è anche un fondale dipinto che mostra una lussureggiante vegetazione tropicale, stimolando ulteriori connessioni tra la quinta teatrale e la rappresentazione fotografica soprattutto in relazione alla formula del ritratto, rappresentazione celebrativa in cui chiunque ha il diritto di confrontarsi, proiettando il proprio desiderio di immortalità.
In queste foto indiane e dell’Asia del sud si nota da una parte il rapporto di dipendenza dalla tradizione pittorica, nell’elaborazione stessa della rappresentazione secondo schemi iconografici delle miniature, nonché nella coloratura a mano, ma allo stesso tempo quella libertà espressiva che porta a inserire, magari, degli strass sul sari che avvolge il corpo di una donna, sfondando il limite della bidimensionalità.

L’ornamento non è casuale quando viene associato al rito, che sia un tatuaggio o una decorazione architettonica. Stavolta ci spostiamo nell’ultimo trentennio del secolo scorso con le foto di Jyoti Bhatt (Tasveer, Bangalore-New Delhi) che ha viaggiato a lungo nel suo paese documentando con sensibilità la tradizione pittorica in ambito rurale, così come fa il giovane filippino Jake Verzosa (Silverlens, Makati City, Filippine e Singapore) – ricorrendo anche lui al linguaggio del bianco e nero – per ritrarre le ultime generazioni di donne della tribù Kalinga, abitanti nel nord delle Filippine, la cui storia è tatuata sulla loro pelle.

Più concettuale il lavoro sulla memoria dell’artista taiwanese Shun-Chu Chen (Beyond Gallery, Taipei), incentrato sulla famiglia e sul rapporto nostalgico con i luoghi dell’infanzia, mentre la giapponese Tomoko Yoneda (1965) in The 50th Parallel: Former border between Russia and Japan (Grimaldi Gavin, Londra) parla di confini attingendo alla memoria letteraria (Anton Cechov) per confrontare il passato con il presente dell’isola di Sakhalin, un tempo divisa tra Russia e Giappone.
Il paesaggio «normale» – quasi banale – che inquadra rimanda messaggi trasversali di misteri e storie perdute nell’affanno della storia, come quella che avvenne in una notte dell’inverno 1938, quando un regista giapponese che credeva negli ideali comunisti varcò il confine che divideva l’isola con la sua compagna. Ma venne scambiato per spia, arrestato e ucciso. Più esplicita la foto di Gordon Parks Untitled, Shady Grove, Alabama 1956 (Jenkins Johnson, San Francisco/New York) in cui il momento felice di un papà con i suoi tre figli a cui compra il gelato è subordinato alla scritta «colored» che distingue la zona riservata alle persone «di colore» da quella per i bianchi, proprio sotto la freccia rossa come la gonna della ragazzina e le magliette dei suoi fratellini.

L’America è il luogo più raccontato, nelle sue diverse sfaccettature. Tra i suoi interpreti anche Leslie (Les) Krims con i nudi, tra l’erotico e l’ironico, degli anni ’60- 80 (Paci Contemporary, Brescia) o Margaret Bourke-White (Daniel Blau, Monaco e Londra) con uno scorcio meno prevedibile della Statua della Libertà, ma anche con il Burlesque. Della leggendaria fotografa di Life è in vendita pure una stampa a contatto realizzata da Oscar Graubner nel 1936, in cui la vediamo fotografare dalla sommità del Chrysler (il prezzo è 34mila euro). Intramontabili immagini come Coco Chanel fotografata da Horst P. Horst, il ritratto di Patti Smith accanto a quello di Cindy Sherman di Robert Mapplethorpe o la bellissima Small cuttings of bananas (2008) di Irving Penn.

Tra i performer, la turca Sukran Moral (Galeri Zilberman, Istanbul) è al suo debutto parigino, interprete di se stessa in immagini provocatorie come L’Artista (1994), mentre Paolo Ventura (il fotografo italiano più quotato del momento) moltiplica l’immagine di sé per diventare la folla nel Funerale di un Anarchico (Flatland, Amsterdam) esposto recentemente al festival internazionale di Fotografia di Roma. Bellissima la sequenza di vintage con cui Agnès Varda (galerie Nathalie Obadia, Paris/Bruxelles) ha tradotto frammenti del quotidiano, evocando una sua mostra parigina del 1954, dove le foto erano appese direttamente sui muri di Rue Daguerre.
Quanto alle new entry è da segnalare Omar Victor Diop, dal Senegal, con la serie Diaspora (Magnin-A, Parigi). Qui il fotografo – ispirandosi alla pittura coloniale – si autoritrae nei panni di personaggi della storia africana come Dom Nicolau, Angelo Soliman, Ayuba Soleiman Diallo, Juan de Parej che hanno raggiunto inaspettati traguardi di potere, pur provenendo dalla condizione di schiavi.

Rapportando il loro status all’attualità, Diop deve ammettere che per un africano al giorno d’oggi una delle principali fonti di successo è il business del calcio. Ecco, allora, il cortocircuito nella rappresentazione di questi personaggi in abiti dell’epoca ma con oggetti come guanti da portiere, scarpe da calcio, pallone di cuoio. Anche San Benedetto il Moro, patrono con Santa Rosalia della diocesi di Palermo (nato nel 1526 a San Fratello da genitori discendenti da schiavi) sfoggia uno sfavillante pallone dorato.

Paris Photo è, poi, come sempre un’opportunità per incontrare autori straordinari come Masao Yamamoto che ha presentato il suo ultimo libro Small things in silence, Miyako Ishiuchi, Elliott Erwitt, Zanele Muholi, Martin Parr, Larry Towell, John Gossage, Bettina Rheims. Quanto ai Photobook Awards, organizzati in collaborazione con Aperture Foundation, quest’anno la categoria «First Photobook» è stata assegnata al giovane fotografo bolzanino Nicoló Degiorgis, autore di Hidden Islam (Rorhof, 2014) una riflessione sulla dilagante «Islamofobia» nell’Italia del nord-est che costringe i musulmani a praticare la loro religione in luoghi di culto temporanei come garage, palestre, depositi e perfino supermarket.