Superata indenne la guerra civile e lanciata la NEP, il potere sovietico iniziò seriamente a pensare allo sviluppo di una propria industria cinematografica, «la più importante delle arti per noi» come aveva confessato Lenin al commissario per la cultura Anatolij Lunacarskij nel 1922. Un cinema in primo luogo militante che avrebbe dovuto secondo Lenin popolarizzare gli ideali socialisti attraverso uno strumento diretto e moderno. La location per gli studi della Mosfilm venne individuata nel centro di Mosca, sulla Collina dei Passeri che dirada sul Volga, dove è rimasta ancora fino ad oggi. Qui fecero i primi passi alla metà degli anni ’20, Sergej Ejzenštejn con la celeberrima Corazzata Potemkin ma anche Lev Kuleshov, Abram Room, Vsevolod Pudovkin, nomi che negli anni successivi divennero famosi in tutto il mondo. L’idea era quella di costituire una struttura simile a Hollywood che Ejzenštejn, Alexandrov e il cameraman Tisse avevano visitato durante il loro tour americano. Si trattava di porsi all’avanguardia e di sviluppare non solo dei nuovi studi, ma una città cinematografica fondamentalmente nuova in cui sarebbero state raccolte tutte le fasi della produzione in modo che tutto il lavoro necessario potesse essere realizzato senza perdite di tempo, dove tutti i servizi fossero convenienti e ottimizzati per le riprese, per il montaggio, per lo sviluppo e la stampa dei film fino alla diffusione e al marketing: qualcosa insomma che in Europa era ancora di là da venire.
GLI ANNI TRENTA
Dopo la fase pioneristica degli anni Venti, gli anni Trenta sono gli anni del grande sviluppo di Mosfilm con la produzione dei grandi documentari di propaganda di Abram Room e la consacrazione di Ejzenštejn con l’Aleksandr Nevskij (1938) e Ivan Groznyj (1944) che però soffrono oltremodo del manierismo del realismo socialista. Vengono anche prodotte molte commedie fortemente volute da Stalin per alleggerire nella spossata popolazione sovietica il plumbeo clima del grande terrore e le durezze dei primi piani quinquennali. Si tratta comunque di pellicole spesso di qualità come «Circo» (Zirk,1936) basato su una pièce della premiata ditta Ilf’ e Petrov o come «Il Trattorista» (Traktorist, 1939) di Ivan Pyr’ev.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e la rapida avanzata sul territorio sovietico dell’esercito nazista non solo tutta l’industria bellica e pesante venne trasferita oltre gli Urali ma anche quella culturale come nel caso di Mosfilm. Tutte le attrezzature e tecnologie della Mosfilm, a parte una piccola sezione addetta alla produzione di cinegiornali di propaganda bellica, vennero trasferite 4000 chilometri a est, nella capitale kazaka di Alma-Ata. Una gigantesca operazione di logistica che necessitò della mobilitazione di ben 4000 vagoni ferroviari.
IL LOGO
Tornata a Mosca già nel 1943 nella sua sede naturale e approntato il famoso logo dell’operaio e della contadina che stringono verso il cielo il martello e la falce (elaborazione dell’opera in acciaio eseguita per l’expo del 1937 a Parigi da Vera Muchina), la Mosfilm conosce una seconda giovinezza dalla seconda metà degli anni Cinquanta, indissolubilmente legata al «disgelo» e alla destalinizzazione seguita al rapporto di Kruscev al ventesimocongresso del PCUS. Le grandi aspettative legate al rinnovamento dell’esperienza sovietica e la maggior libertà d’azione nelle scienze e nella cultura, la crescita del numero delle sale in tutto il paese producono un vero e proprio boom del cinema in Urss in cui Mosfilm gioca un ruolo di assoluta protagonista. Gli studios moscoviti confezionano in quella fase gioielli come «A zonzo per Mosca» (I shagaiu po Moskve, 1964) del georgiano Georgij Danielija, recentemente scomparso, e «Le ragazze» (Devchata, 1961) di Yuri Chulykin. Anche il genere «bellico» di cui la cinematografia dell’Urss ha sempre dato ampio risalto, abbandona i canoni monodimensionali dell’eroismo sovietico nella seconda guerra mondiale per indagare in controluce aspetti sociali e psicologici della guerra fino ad allora accuratamente tralasciati.
Paradossalmente però è proprio nel periodo della stagnazione brezneviana, la «zastoj», che la semina di attori e registi dell’epoca precedente produce molti dei capolavori dell’epoca socialista, in gran parte creati e girati nei padiglioni della Collina dei passeri. E non si tratta solo del cinema raffinato (spesso osteggiato dalla burocrazia) di Tarkovskij (Solaris è del 1972, Stalker del 1979) o di Kochalovskij (Siberaide è datato 1979) ma anche della nascita e sviluppo dei «Red Western» inedita rilettura della guerra civile tra bianchi e rossi tra cui spicca, amatissimo da Leonid Breznev, «Il sole bianco del deserto» (Beloe Solnze Pustiny, 1970) di Vladimir Motyl’. Alla fine dei Settanta esce «Mosca non crede alle lacrime» (Moskva sleziam ne verit, 1979, premio Oscar nel 1981 per il miglior film straniero) in cui Vladimir Menshov attraverso la biografia di una donna moscovita narra le trasformazioni e sociali del costume della capitale, mettendone in risalto anche limiti e contraddizioni, o il delicato musical di Karen Shakhnazarov sulle origini del jazz in URSS (My iz dzaza, 1983).
YOUTUBE
Complessivamente il catalogo sovietico della Mosfilm superò le 3 mila pellicole e grazie a un accordo con google ora sono tutte visibili gratuitamente e integralmente su youtube, spesso con sottotitoli nelle principali lingue, italiano compreso.
Il tumultuoso periodo della perestrojka fa involontariamente da battistrada al declino della Mosfilm degli anni ’90, dove mancanza di fondi e confusione sociale sono la cifra quotidiana con cui gli studios moscoviti sono costretti a confrontarsi. Tuttavia a partire dal 1998 con l’arrivo di Shakhnazarov alla direzione della «Hollywood russa» le cose tornano a girare nel verso giusto. Puntando sul rinnovamento tecnologico, sul digitale (senza mai abbandonare la mitica celluloide che ora sta ritrovando interesse tra i giovani cineasti) sull’ampliamento dei magazzini dei costumi e del parco auto d’epoca, sull’apertura di nuovi grandi padiglioni per le riprese in interni, la Mosfilm ha creato le migliori condizioni per affrontare da protagonista la rivoluzione cinematografica del XXI Secolo.