Il titolo in inglese, The Art of Cinematography, rende meglio e subito la materia di cui tratta, cioè L’arte della Cinematografia (Skira edizione, bilingue italiano-inglese, 352 pagine, con in allegato il dvd Videopedia, euro 80.00 ), anche se il nome sulla copertina basta da sé a svelarlo. Curatore del volume è infatti Vittorio Storaro, direttore della fotografia tre volte premio Oscar (per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore), a cui si deve la luce anche di film come Un sogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola, e ancora col regista, di Tucker, un uomo e il suo sogno, e New York Stories, ma anche di Reds di Warren Beatty. Complice a lungo di Bertolucci di cui accarezza l’epica morbida e sensuale di Novecento, la magnifica libertà di Ultimo tango a Parigi, il melò desiderante di La luna, le asprezze dissonanti di Strategia del ragno, il conflitto intimo nella Storia de Il conformista, la fuga dal mondo, estrema e cocciuta di Il tè nel deserto.

24vis02af02
Storaro nella costruzione di questo percorso che è una storia del cinema attraverso il ritratto dei direttori della fotografia, ha lavorato nella composizione visiva insieme a Luciano Tovoli (direttore della fotografia tra gli altri di Professione reporter di Antonioni), Gabriele Lucci e Daniele Nannuzzi, e a Lorenzo Codelli e Bob Fisher autori dei testi.

L’idea, appunto, è quella di tracciare una storia del cinema attraverso le sue immagini, centocinquanta profili di «cinematographers», di grandi Scrittori di Luce. Scrive Storaro nelle note introduttive: «Il linguaggio della luce come la parola nella sceneggiatura, come le note nella musica, raccontando visivamente una storia determina uno specifico stato emotivo in seno allo spettatore. Le nuove tecnologie hanno portato ancora di più l’autore della fotografia cinematografica, nel mettere in scena la luce, a determinare attraverso un suo proprio stile di scrittura linguistica, l’atmosfera visiva di un film … Consapevoli quindi che il cinema può essere realizzato esclusivamente con l’apporto di più collaboratori , specifici autori nel loro singolo campo espressivo, pur diretti dal regista, si deve riconoscere che l’autore della cinematografia determina non soltanto il tipo di visione delle immagini, ma concorre con la sua opera di ingegno individuale alla formazione del cinema».

La luce è il cinema, la materia e la sostanza immagini, e la relazione tra regista (cosa accade quando questi è anche in macchina?) e direttore della fotografia è senza dubbio densa e complessa proprio per questa intimità con la sostanza del lavoro, e insieme nel bisogno di una necessaria sinergia. Poi la visione qui descritta esclude i solitari, o i filmmaker che lavorano fuori da un apparato produttivo, ma questa è un’altra storia. O un’altro aspetto della stessa.

Sfogliando il libro, che è magnificamente illustrato, con una stampa di qualità altissima – la prima cosa che balza all’occhio, in una storia lunga un secolo, che comincia nel 1911 con Cabiria di Giovanni Pastrone (1914), e arriva sino a Anonymous di Roland Emmerich (2011), è la quasi assenza femminile – peraltro la fotografia di questo film è di Anna Foerster, tedesca, collaboratrice del regista dai tempi di Indepence Day. Che in effetti è l’unica donna presente. Sarebbe interessante spiegare perché non è un «mestiere» per donne, e per carità non si tratta di «quote rosa», ma le modalità di produzione sono un dettaglio importante nell’economia di un immaginario.

C’è un nome che salta all’occhio per la sua assenza ed è quello di Caroline Champentier, a cui si devono spigoli e morbidezza di luci e ombre di Rivette, Straub&Huillet, Doillon, Gitai, fino alla malinconia struggente e acida di Holy Motors di Carax.

Ma forse è un cinema un po’ «eccentrico» rispetto a quello disegnato dal libro. Storaro per sé sceglie Novecento, lo sguardo leggermente obliquo in primo piano di Dominique Sanda. Ogni immagine che racconta un direttore della fotografia, e un frammento di questa storia, è stata lavorata giocando su volumi, forme, contrasti dagli autori. Ci si può perdere nel barocco di Intolerance del visionario Billy Bitzer (1916), o nel bianco e nero emozionale de I racconti della luna pallida d’agosto che Kazuo Miyagama aveva pensato con Mizoguchi. Néstor Almendros è I giorni del cielo di Terrence Malick, e Giuseppe Rotumno Il Gattopardo di Visconti, Carlo Di Palma Deserto Rosso e Ghislain Cloquet Fuoco fatuo di Malle, Subrata Mitra L’invitto di Ray .

Per Luca Bigazzi, tra i nostri direttori della fotografia di punta oggi, c’è Romanzo criminale di Placido (eppure nella sua filmografia ci sono Sorrentino e Amelio e il bianco e nero dirompente di Ciprì e Maresco). Pierre Llhomme è Cyrano de Bergerac, di Jean-Paul Rappeneau, ma questo grande sperimentatore francese ha girato con Eustache e Cavalier. Il bello del libro però è questo: essere un gioco dichiaratamente parziale. Cinefilo e amoroso, divertito e appassionato, con la gioia quasi infantile di condividere i piaceri di una visione personale e collettiva.