Una democrazia è davvero tale solo quando assicura uguaglianza formale e sostanziale a tutti i cittadini e a tutte le cittadine, senza discriminazioni di nessun tipo. E sabato scorso quasi un milione di persone hanno manifestato in 100 piazze d’Italia per chiedere questo, ovvero pari dignità, tutele, diritti.

L’Italia è un paese che presenta un vuoto normativo clamoroso sul tema delle unioni civili. La discriminazione è lampante, dura da troppo tempo e rende evidente l’arretratezza del nostro Paese.

Il movimento Lgbti ha il merito di avercelo ricordato, di non aver abbandonato il campo, di aver «svegliato» le coscienze, anche quelle di tanta sinistra, che in questi anni sono rimaste spesso «tiepide» sull’argomento.

Ma credo che si farebbe un torto e si ridimensionerebbe l’importanza della questione se non si mettesse in luce un altro aspetto. Per noi, Arci, associazione culturale da sempre impegnata per il riconoscimento di diritti vecchi e nuovi, quella grandissima mobilitazione non è stata solo una vicenda di autorappresentanza, e cioè un’iniziativa propria di un gruppo di cittadini che si trovano nella stessa condizione. Quella mobilitazione, e l’importante partecipazione che ha registrato, va vista come il desiderio di rivendicazione di diritti di libertà e di democrazia di una parte rilevante del Paese che non può e non deve essere ignorata.

È stata l’ennesima dimostrazione, come spesso è accaduto nella storia della politica italiana, che comportamenti, percezioni, sensibilità in materia di diritti civili nel nostro Paese hanno saputo svilupparsi e porre prospettive più avanzate, rispetto a ciò che le leggi prevedono e che la politica ha preferito non vedere. E purtroppo continua a dirci che ancora oggi pesa sulla politica, come ai tempi delle battaglie sul divorzio e sull’aborto, una cappa ideologica, che rende particolarmente rilevante, e porta alla sopravvalutazione, idee e comportamenti oscurantisti.

Da settimane, e in questi ultimi giorni frenetici lo sarà ancora di più, l’argomento del contendere, anche nel centrosinistra, è il punto sulla stepchild adoption. È l’oggetto di nuove contrattazioni, discussioni, scaramucce, chiasso. Si agita strumentalmente la questione dell’utero in affitto e non si dice, con l’obiettivo di drogare il dibattito, che questa tecnica è vietata in Italia né tantomeno sarebbe sdoganata dal ddl Cirinnà.

Per quanto ci riguarda non sono accettabili mediazioni al ribasso. La stepchild adoption per noi è uno strumento minimo di tutela. E per essere chiari, tutela del minore. A ricordarcelo in modo molto netto sono stati anche i 230 nomi autorevoli, tra magistrati e docenti di diritto riuniti nell’appello di Articolo 29: la stepchil dadoption rappresenta la garanzia minima per le bambine e bambini, come misura a presidio dell’interesse dei più piccoli, in grado di assicurare diritti di cura e di mantenimento, il diritto all’unità familiare.

Non sarà certamente il ddl che stabilirà o meno se tantissime coppie continueranno a formarsi e i bambini a nascere.

Quello che possiamo e dobbiamo fare è garantire il loro diritto ad una unione che nei fatti esiste da tempo.

Esistono da tempo e felicemente tante coppie, con figli o senza, che vivono una quotidianità fatta di scelte coraggiose, di scoperte e di crescita, di conoscenza e di amore, di lacrime e sorrisi. E come abbiamo ripetuto in tutti questi mesi, che vi piaccia o no, è già famiglia.

* presidente nazionale Arci