Dopo aver portato i lettori nei capannoni in giro per l’Europa a conoscere il fenomeno dei free party e della scena rave con il suo Muro di Casse, Vanni Santoni torna con un nuovo libro – La Stanza Profonda -, anch’esso edito con Laterza (pp. 151, euro 14) e già in concorso per il Premio Strega, per raccontarci un’altra sotto-cultura dalla forte caratterizzazione generazionale: quella dei giochi di ruolo.
Non più magazzini abbandonati o periferie occupate, ma una piccola stanza seminterrata, nella quale un gruppo di ragazzi per anni si è ritrovato per inventare mondi, combattere creature terrificanti, costruire ed esperire storie. Un libro per far conoscere (o far rivivere) le partite a Dungeons&Dragons, Magic, RuneQuest, ma anche per raccontare come questo mondo culturale non sia stato un fenomeno chiuso in sé stesso, ma anzi ha influenzato, come la cultura rave, l’immaginario collettivo.

LE ANALOGIE tra le due sottoculture emergono d’altronde più volte nell’opera. Tanto distanti tra loro per l’approccio emotivo (estroverso ed esplosivo per la cultura rave, introverso per i giochi di ruolo), ma accomunate dall’intenzione di costruire socialità nuove ed opposte alla competizione e all’individualismo dominanti, e forse anche per questo entrambe spesso vittime di diffamazione che sfocia in persecuzione, sociale e anche legale. Stupisce non poco sapere che una delle scene del libro, che vede i giocatori scontrarsi con le forze dell’ordine, racconta di fatti realmente accaduti!

«D&D è controcultura» – dice il Paride, uno dei personaggi -. Lo è perché in una società che premia solo la competitività mostra che ci si può divertire, anzi avere un’esperienza esaltante, attraverso la cooperazione, senza pagare nessuno e senza sottoporsi a nessuna autorità se non a quella di regole scelte assieme. Sembra che stai a descrivere le feste. I rave? Di punti in comune ce ne sono. A parte il fatto che i raver sono considerati ganzi e i giocatori di ruolo, invece, degli sfigati».

LA STANZA PROFONDA racconta anche la provincia italiana, del suo svuotarsi e divenire deserto, nella quale le relazioni umane si sfilacciano, il Nulla dilaga e inghiotte la città: rinchiudersi in una stanza per popolare mondi altri può apparire una evasione dal reale, di fuga verso un mondo virtuale, quindi finto e menzognero. Accusa che accomuna, ancora una volta, la cultura dei Dungeons a quella della psichedelia. Ma è nel tessere un mondo nel cloud, «nello spazio mentale condiviso» che l’immaginazione torna ad avere capacità di costruzione dell’attuale, e il virtuale si emancipa dal rapporto di inferiorità del reale, diventando fonte di creazione di rapporti. «Nel momento in cui il virtuale si sovrappone al reale, in cui tutto diventa narrazione, chi può svalutare con sicurezza quanto avveniva là sotto?»
Un testo scandito da una narrazione in seconda persona, che relega ai margini l’autore, lasciando che la vera festa siano i giocatori.