In una stanza bianca, dalla luce ovattata, Sergej Polunin, uno dei più grandi danzatori esistenti, classe 1989, è seduto a terra, sui talloni. Il busto nudo tatuato, la testa e le spalle recline che non rivelano il volto racchiudono nella potenza di un istante la storia di un uomo che ha scelto di raccontarsi senza nascondersi dietro i cliché patinati del balletto. Un momento di pausa, in cui la bellezza è tutt’uno con le incertezze di una vita di luci e ombre, che coincide con l’immagine di apertura del film Dancer di Steven Cantor, emozionante ritratto fuori dagli schemi di Sergej Polunin.

 
La stanza bianca è quella nella quale è stata girata da David LaChapelle la clip virale con Polunin in Take Me to Church di Hozier, un video che ha fatto il giro del mondo e la cui storia scopriremo quasi alla fine del film. Nel tempo dei titoli di testa Cantor ci rivela con un montaggio serrato la Russia povera da cui Polunin è partito, quello che si è disposti a fare per essere al massimo durante la performance, percepiamo l’adrenalina dell’esibizione, la follia dei fan, la difficoltà di reggere un successo straordinario da giovanissimo sapendo che la tua famiglia, lontana, ha investito tutto su di te.

 
Straordinaria la crescita artistica di Sergej Polunin. Lo seguiamo passo per passo, lo vediamo da bambino, in video amatoriali ed è già evidente che Sergej ha qualcosa di speciale, quel guizzo da grande interprete, quelle doti fisiche di elasticità e potenza, che rendono un ragazzino diverso dai suoi coetanei. Il film ci porta in Russia, dentro la famiglia di Sergej, il padre che lascia il proprio paese per permettere al figlio di studiare, la nonna che fa lo stesso, la mamma che lo accompagna all’Accademia Coreografica di Kiev e verso il grande salto alla Scuola del Royal Ballet di Londra.

 
A 19 anni è il più giovane danzatore maschio a essere nominato primo ballerino del Royal Ballet di Londra. La stampa, il pubblico ne sono entusiasti, eppure qual è il prezzo del successo? La famiglia si spezza, i genitori divorziano, il giovane danzatore ne è distrutto, la sua vita si consuma tra eccessi. Perché danzo? È una domanda che ritorna nell’intreccio del montaggio, tra vita pubblica e privata con un mix di archivio e girato originale. Dancer non è un racconto di frasi fatte, è una storia dentro la vita delle persone, da vedere anche se non si è dei ballettomani.

 
Realizzato in quattro anni, è stato nominato come miglior documentario al British Independent Film Awards 2016. Polunin sarà presente all’Anteo di Milano per la proiezione di Dancer il 7 sera, ma insieme a Natalia Osipova e a altri eccellenti danzatori è in Italia già questo sabato, al Regio di Parma con lo spettacolo Satori. Replica al Comunale di Modena martedì 6.