Il papa, all’Onu, ha anche parlato del narcotraffico, della struttura parallela “che mette a rischio la credibilità delle istituzioni” perché ha penetrato “i distinti livelli della vita sociale, politica, militare, artistica e religiosa”.

Un’immagine che ben si attaglia al Messico del neoliberista Enrique Pena Nieto, contro cui hanno manifestato ieri in tutto il mondo: per ricordare la scomparsa dei 43 studenti “normalistas”, un anno fa, a Iguala, nello stato del Guerrero. Ad aspettare Bergoglio a Filadelfia sono andate anche 5 madri dei ragazzi scomparsi, per esporre le ragioni del loro sciopero della fame.

Secondo El Financiero, il papa avrebbe rinunciato a visitare il Messico perché il governo gli ha impedito di dire messa a Ayotzinapa insieme ai “normalistas”. “Questi vecchietti non capiscono niente”, avrebbe risposto un collaboratore di Nieto.

Altri famigliari hanno digiunato per 43 ore in Piazza della Costituzione, nella capitale messicana. Nello storico Zocalo, dopo gli scontri e i blocchi stradali che, nei giorni scorsi, hanno animato le proteste nello stato del Guerrero e del Michoacan, si è svolta la principale manifestazione.

I fatti di Iguala sono ormai conosciuti a livello mondiale. Nella notte tra il 26 e il 27 dell’anno scorso, un gruppo di studenti che stava raccogliendo fondi per una prossima manifestazione è stato attaccato da polizia locale e narcotrafficanti. Il bilancio è stato di 6 morti, una ventina di feriti e 43 scomparsi. A rimetterci la pelle, anche alcuni calciatori che tornavano da un torneo, un tassista e una passeggera. Un ragazzo ferito gravemente è da un anno in stato vegetativo. I famigliari denunciano di essere stati abbandonati dallo stato, e ieri sono andati in piazza con gli altri.

Da allora vi sono stati oltre 100 arresti, ma nessun condannato. Quattro studenti delle scuole rurali di Ayotzinapa, testimoni oculari, sono sotto protezione. Quel che hanno visto e raccontato, però, non ha influito molto sulle indagini ufficiali. Una commissione indipendente di esperti Onu, con un rapporto di oltre 500 pagine, ne ha dimostrato l’inconsistenza, ha evidenziato complicità e omissioni. Secondo i risultati del governo, i ragazzi sarebbero stati consegnati ai narcos, che li avrebbero uccisi e bruciati nella discarica di Cocula. Lì, sarebbero stati rinvenuti dei resti, poi inviati a un laboratorio analisi in Austria per il Dna. Due studenti sarebbero così stati identificati.

Conclusioni tutt’altro che certe – denunciano gli esperti – che chiamano in causa l’esercito e le sue alte coperture. Il gruppo di antropologi forensi che assiste le famiglie, ha detto inoltre che i proiettili rinvenuti nella discarica risultano essere stati messi lì successivamente. Gli esperti avanzano anche l’ipotesi che gli studenti possano essere stati testimoni di un grosso transito di droga coperto dalle autorità locali. Per questo, l’Onu ha raccomandato al Messico di riaprire l’indagine. I famigliari degli scomparsi hanno presentato a Nieto un documento in 8 punti. Al termine dell’incontro, hanno però ribadito la loro sfiducia nelle vaghe promesse del presidente. Sotto l’amministrazione Nieto si è verificato il maggior numero di scomparsi, che per le stesse statistiche ufficiali sono oltre 25.000 negli ultimi nove anni. Altri due giornalisti sono stati ammazzati nello stato di Tabasco.

E mentre i preti di base sfilano con le famiglie e i movimenti e li aiutano nelle contro-inchieste, l’Episcopato messicano invita a non usare i fatti di Iguala “a fini politici concreti tendenti ad aumentare la conflittualità sociale”. Oltre la retorica e le buone intenzioni, in quell’America latina che plaude convinta alle parole di Bergoglio, lo scontro fra la chiesa legata ai grandi interessi e chi quegli interessi cerca di contrastare è tutt’altro che “pacificato”. Vescovi e cardinali intervengono a gamba tesa contro i presidenti che si richiamano al “socialismo del XXI secolo” e i preti “bolivariani” vengono emarginati.

In Venezuela, spiccano il sempiterno cardinal Urosa e il potente arcivescovo di Coro, Roberto Luckert, molto ascoltato in Spagna – paese da cui si dispiegano i più grandi attacchi al governo di Caracas. Secondo l’arcivescovo, che in pubblico chiama per nome di battesimo i leader dell’estrema destra venezuelana, “il regime comunista totalitario di tipo cubano che abbiamo in Venezuela è capace di qualsiasi cosa e porta il paese alla guerra civile”.

Anche Maduro ha espresso parole di forte apprezzamento per il discorso del papa e Caracas ha sempre aperto tutte le porte alla chiesa cattolica. La pressione per isolare il presidente venezuelano è però ben sostenuta. E le destre hanno esultato perché Maduro, all’Onu, non è riuscito a parlare col papa.