Per qualche giorno, su social e siti di news è rimbalzato il video della «bambina Mowgli», una ragazzina ritrovata a gennaio nella riserva naturale del Katarniyaghat, nello stato indiano dell’Uttar Pradesh, ai confini con il Nepal. La ragazzina, dell’età di otto anni, parla e cammina in un modo che ricorderebbe quello delle scimmie che vivono nella stessa foresta. Secondo le notizie circolate inizialmente, i suoi comportamenti sarebbero stati appresi proprio dai clan di animali che l’avrebbero accolta durante la sua infanzia. Peccato si tratti di una «bufala» che cela una storia molto meno affascinante.

Secondo Gyan Praksh Singh, responsabile delle aree forestali della regione intervistato dall’Hindustan Times (il secondo giornale più letto in India, con oltre un milione di copie al giorno) «non è possibile che una ragazzina viva per anni nella foresta e non venga notata né dal personale né dalle centinaia di videocamere installate per la sicurezza e il censimento degli animali».

L’ipotesi più probabile – e più prosaica – è che la bambina sia stata abbandonata dalla famiglia poco prima del ritrovamento a causa dei suoi problemi mentali, ha aggiunto un pediatra intervistato dalla stessa testata. Non è escluso nemmeno che all’origine del suo comportamento vi siano torture e traumi psicologici.

Non è vero nemmeno che un gruppo di scimmie ne abbia preso le difese per impedire che fosse portata in ospedale: «Non c’erano scimmie. Inizialmente si rifiutava di venire con noi, ma il freddo e la fame potrebbero averla spinta a seguirci», ha spiegato Sarbajeet Yadav, che era tra i soccorritori.

A rimbalzare sui social come un video di gattini poteva essere semplicemente l’immagine di una ragazzina disabile abbandonata e spaventata. Che avrebbe meritato un po’ di rispetto in più.