Le ingiurie ai giornalisti degli esponenti di governo e dirigenti 5S sono gravi, giustamente accolte da un coro di reazioni indignate. Tanto più che proprio loro, contraddittoriamente, minacciano tagli indiscriminati alla stampa cooperativa, che costituisce un presidio indispensabile al pluralismo giornalistico. Eppure una «questione stampa» si pone in Italia, ed assume forme di distorsione che ci segnalano fra le democrazie più avanzate dell’Occidente.

Si tratta di cose ben note e dibattute da anni, dalla concentrazione monstre di Berlusconi, alla precarietà occupazionale crescente dei giornalisti, soprattutto giovani, che vedono pesantemente condizionata la propria libertà professionale. E certamente da segnalare è l’eccesso di opinioni dei giornalisti rispetto ai fatti.

La nostra grande stampa non si segnala per un particolare sforzo di obiettività nella ricostruzione delle questioni. Il tifo calcistico che ad esempio la Repubblica fa per il Tav Torino Lione – urlando in prima pagina inventate penali miliardarie in caso di mancata realizzazione – è un caso da manuale della troppo accorata propensione per le opinioni. In questo specifico caso, a parte l’inutilità dell’opera più volte documentata da parte dei tecnici No-Tav, basterebbe por mente a quanto gioverebbero le infrastrutture ferroviarie nel nostro Mezzogiorno. E non vale dire che in quel caso si tratta di un vecchio progetto. Se è superato dai mutamenti dei flussi commerciali, occorre cambiare di spalla il fucile e mirare altrove, visto che i soldi son pochi per definizione. E un giornale che ha a cuore l’interesse generale potrebbe fare la sua parte utile, se proprio vuol fare opinione.

Ma intervengo sulla questione da semplice e inesperto osservatore per segnalare invece un altro fenomeno che mi sembra poco considerato, E in questo caso la responsabilità della TV è di certo più rilevante rispetto a quella dei giornali. Mi riferisco all’immagine del Paese che danno questi media. Non sarà sfuggito a nessuno il rilievo spropositato che i giornalisti, soprattutto televisivi, danno agli esponenti del mondo politico.

Si tratta di un fenomeno che riguarda un gran numero di programmi, a tutte le ore del giorno e della notte, dei canali pubblici e privati. Ma i nostri telegiornali raggiungono vette di delirio nella super-rappresentazione del ceto politico come cuore dell’informazione pubblica.

Essi creano nell’immaginario una gerarchia di valori che distorce gravemente la realtà. Come se dalle parole di tanti modesti uomini e donne, sotto il cui muso si affollano come questuanti moltitudini di microfoni, dovesse davvero dipendere il nostro futuro.Si tratta ormai di vertici di pura insensatezza. Abbiamo a che fare con il ceto politico meno preparato e più incapace della storia repubblicana ( ma non a partire da questo governo!) e il giornalismo ne fa indirettamente un vertice venerato della nostra gerarchia sociale.

Tale eccesso di rappresentazione della politica deprime oltre misura gli standard culturali della nostra televisione, ma al tempo stesso distende una coltre uniforme sull’intero Paese, ne assorbe interamente l’immagine. Voglio essere scrupolosamente onesto e riconosco che negli ultimi anni la nostra Tv pubblica ha migliorato e arricchito , come si dice, la propria offerta culturale.

Sino a poco tempo fa erano impensabili programmi come quelli che si possono seguire su Rai 5, o su Rai storia, Rai scuola, per non ricordare l’opera meritoria di promozione dei libri che ormai da anni svolge Corrado Augias. E tuttavia si tratta di nicchie di lusso, per pochi addetti, le quali, ancorché utilissime, non scalfiscono l’immagine dominante di un paese interamente assimilato al suo ceto politico e di governo.

E la ragione di questa grave parzialità è che la parte più vitale, più creativa, più colta dell’Italia non viene mai né frequentata, né rappresentata, sia dal giornalismo televisivo sia da quello della carta stampata. È una constatazione che traggo dalla mia lunga esperienza di studioso che va in giro per l’Italia per lezioni e partecipazione a convegni.

La stessa che potrebbero testimoniare centinaia di altri colleghi nelle mie stesse condizioni. Mi capita spessissimo di assistere a iniziative di culturali di rilievo, che davvero meriterebbero di essere fatte conoscere al grande pubblico, ma raramente esse vengono riprese da qualche telecamera, neppure di Tv regionali, né seguite da alcun giornalista. Mi riferisco a iniziative di diparimenti universitari, società scientifiche, scuole, case editrici, associazioni culturali, accademie, comuni, ecc. che potrebbero fornire l’idea di una Italia meno depressa di quella che appare dal convulso chiacchiericcio della politica quotidiana. Eppure, se si vuole che qualche giornalista si presenti a questi appuntamenti occorre la presenza anche di un modestissimo uomo politico.Purché sia un volto noto delle tv.