Una manifestazione a staffetta per unire il paese, ridare centralità al lavoro e avvertire il governo: «Blocco dei licenziamenti fino a fine ottobre o la mobilitazione proseguirà». Da Bari a Firenze per finire a Torino, unite dalla cappa di calore, i sindacati confederali sono tornati in piazza sotto lo slogan «Ripartiamo, insieme», mantenendo però una sorta di lavoro in remoto con i collegamenti per i comizi dei leader.
Grande condivisione fra Cgil, Cisl e Uil e quasi nessuna sfumatura nelle parole dei tre segretari generali, arrivate dopo quelle dei delegati delle tante aziende in crisi, non solo per la pandemia.

Se il «no» alla proposta del governo di proroga selettiva – in realtà del solo settore tessile – è comune, è Maurizio Landini nel comizio finale da una piazza Castello rossa di bandiere e persone a fornire al governo un’alternativa a un decreto per allungare il blocco. «Lancio una sfida non soltanto al governo ma anche alle imprese: come abbiamo fatto noi all’inizio del Covid, si prendano la responsabilità di usare la cassa integrazione ordinaria, che ora è per loro gratuita, e non i licenziamenti – spiega Landini -. Nel caso del protocollo sulla sicurezza abbiamo impiegato 18 ore a sottoscriverlo, è una questione di volontà politica». Poi il segretario della Cgil avverte: «Noi non abbiamo intenzione di accettare i licenziamenti, non abbiamo fatto questa manifestazione per dire che esistiamo, vogliamo cambiare questo paese e continueremo la mobilitazione se non ci ascolteranno».

LANDINI AVEVA ACCANTO un lavoratore ex Embraco con un cartello-avviso per il ministro Giorgetti con su scritto: «Prima le multinazionali?». Un messaggio figlio dell’esasperazione dei lavoratori di Riva di Chieri vicini al licenziamento dopo la fallita nascita del polo dei compressori con la Acc di Mel e le prese in giro di 5 anni di reindustrializzazioni promesse a partire dall’ex ministro Calenda. «La ex Embraco è l’esempio di come non si fa politica industriale», attacca Landini che poi la lega alla situazione di Stellantis: «Torino è stata, perché purtroppo non lo è più, la capitale dell’auto. Oggi, davanti ad un cambiamento tecnologico incredibile di tutti i trasporti bisogna decidere dove progettare e produrre le batterie per auto e bus. Chiedo al governo: le vogliamo fare a Torino e le compriamo dalla Cina? Non è sovranismo perché qui ci sono tutte le risorse e le competenze per produrle e invece molte aziende anche pubbliche hanno brevetti innovativi e investono all’estero».

IL RICORDO DI ADIL Belakhdim, simbolo della situazione drammatica nel mondo di lavoro è sentito. «La cosa che mi ha colpito è che a ucciderlo è stato un altro lavoratore a tempo indeterminato: il dramma è che questa persona ha sentito il ricatto di non dover perdere tempo e di rompere il picchetto: quella morte è figlia delle leggi balorde di questi ultimi vent’anni che hanno aumentato precarietà e sfruttamento».

DA PIAZZA SANTA CROCE a Firenze poco prima il comizio di Luigi Sbarra era stato un accorato appello al governo. «Caro presidente Draghi, servono investimenti; il governo deve cambiare atteggiamento, serve una stagione di rinnovata concertazione ma – e arriva un ammonimento inaspettato per la storia della Cisl – se questa via non verrà percorsa dal governo, noi proseguiremo la mobilitazione». Per Sbarra «non possiamo aggiungere ulteriori posti di lavoro al milione che sono già volati via, come non capire che l’uscita dal blocco dei licenziamento può provocare uno tsunami sociale». La richiesta della Cisl è sempre la stessa: «Serve un nuovo patto sociale per approdare ad un modello di sviluppo nuovo e più sostenibile» e Sbarra nell’elencare i tanti obiettivi della piattaforma unitaria non dimentica «una pensione di garanzia per i giovani». Per la Cisl «la svolta europea che è arrivata da Next generation Eu deve declinarsi in un governo partecipato dalle parti sociali». Anche Sbarra ricorda Adil e lo unisce a Luana D’Orazio, entrambi martiri sul lavoro.

LA MATTINATA ERA PARTITA con l’intervento di Pierpaolo Bombardieri da piazza Libertà a Bari. Un comizio incentrato sul ruolo del Sud che era partito con due stoccate ben assestate al dibattito sui licenziamenti contro Confindustria. «Ci dite che l’Italia è l’unico paese al mondo col blocco dei licenziamenti – ha esordito il segretario generale della Uil – ma vi dimenticate di dire che siamo l’unico paese che ha fatto il protocollo sulla sicurezza per non fermare le imprese ad inizio pandemia e che negli altri paesi come la Germania e la Francia le misure e gli ammortizzatori speciali contro il Covid sono già state prolungate a fine anno». E ancora: «Il fondo Sure europeo che ha coperto la cassa integrazione Covid è fatto da 27 miliardi di soldi pubblici e sono stati usati dalle aziende, anche quelle che nella pandemia hanno realizzato grandi profitti e magari non pagano le tasse in Italia». Poi Bombardieri passa a mettere assieme governo e Confindustria: «Il blocco selettivo? Per le aziende non c’è stato quando si è trattato di usare la cassa integrazione, è valso per tutte le aziende. E allora l’unica strada ora è un blocco dei licenziamenti per tutti, senza distinzioni di settore. E se non lo farete – ecco l’avvertimento al governo Draghi – queste piazze se ne ricorderanno». Il blocco dei licenziamenti per Bombardieri dunque è «la cartina di tornasole della politica del governo».

Dal governo le reazioni si limitano a quella del ministro del Lavoro Andrea Oralndo che parla di «un rischio effettivo» sui licenziamenti e assicura: «interverremo in tempo» ma solo impegnandosi ad allargare i settori per un blocco selettivo. E non è quello che chiedono Cgil, Cisl e Uil.