Al Teatro alla Scala – fino al 14 marzo – è in scena Una sposa per lo Zar (1899) di Nicolaj Rimskij-Korsakov, cha racconta una vicenda di passioni devastanti, in cui agli innamorati giovani e puri Marfa e Lykov si contrappone la coppia «infernale» formata dal vecchio sgherro Grjaznoj, che perdutamente invaghito di Marfa ricorre alla magia per averla, e dalla sua amante Ljubaša, che vende il proprio corpo in cambio di una pozione che annienti la rivale. Fanno da sfondo la Russia del 1500, la polizia segreta degli opricniki e Ivan il Terribile, che, senza mai entrare in scena, sceglierà proprio Marfa come sposa fra duemila ragazze russe?Si tratta di una coproduzione con la Staatsoper di Berlino, dove l’opera ha debuttato pochi mesi fa. La regia e le scene sono affidate al rivoluzionario Dmitri Tcherniakov, che, con grottesca e pregiudiziale puntualità, viene fischiato dai loggionisti della Scala, da tempo persi nel loro delirio di retrograda onnipotenza. Nelle sue mani il solito fosco melodramma, della cui stereotipia era consapevole lo stesso Rimskij-Korsakov, diventa una moderna riflessione sul potere e sulla sua comunicazione mediatica.

Durante il preludio, in scena vediamo una regia televisiva dove gli opricniki in abito grigio eseguono manipolazioni digitali su un volto maschile; accanto, in uno studio televisivo attrezzato per il chroma key, vengono riprese comparse vestite in abiti d’epoca. Le videochat degli opricniki proiettate su uno schermo bianco ci dicono che, per dominare le masse con un potere mediatico efficace, hanno deciso di creare uno Zar virtuale con i tratti dei grandi leader russi del passato (Trotsky, Stalin e Ivan il Terribile, fra gli altri) e, per rendere tutto più credibile, gli troveranno una moglie in carne e ossa negli archivi dei casting televisivi.

La figura dello Zar diviene quindi il motore segreto dell’azione. Con questa premessa la macchina scenica, complicata ma motivata in ogni dettaglio, comincia a muoversi su se stessa, risolvendo ogni snodo drammatico del primo e del quarto atto. Il secondo e il terzo sono ambientati nella casa piccolo borghese della famiglia di Marfa, al centro della quale troneggia un televisore che diffonde reportage celebrativi del nuovo enigmatico Zar. Daniel Barenboim, perfettamente a suo agio nel repertorio russo, imprime all’opera un slancio drammatico irresistibile, con una direzione potente e molto contrastata, assecondando con pari attenzione i sinfonismi più rumorosi, gli intermezzi più sensuali e le pause più sottilmente liriche, non perdendo nessuno dei colori immaginati da Rimskij-Korsakov.

Il cast risponde egregiamente alle sollecitazioni sia del direttore che del regista. Olga Peretyatko è una Marfa allo stesso tempo telegenica, incantevole vestita da collegiale, con una voce adatta alla freschezza del personaggio e un fraseggio puro e omogeneo: bellissima la scena della pazzia, dove il canto rarefatto e levigato contrasta con le espressioni contratte del viso e con il movimento inquieto delle mani. Eccezionale la Ljubaša di Marina Prudenskaya , che si impone fin dall’iniziale canzone popolare a cappella, una ballata straziante e malinconica cantata prima sottovoce poi con forza e slancio, e domina tutta l’opera.