«Non aumentano la nostra sicurezza, è giunto il momento di ritirarle» tuonano i vertici della Spd, riaprendo così il ventennale dibattito sull’arsenale nucleare Nato custodito nelle basi tedesche. Nettamente contrari democristiani e liberali, secondo cui la proposta è rispettivamente «naïf» e «farebbe rivoltare nella tomba l’ex canceliere Helmut Schmidt». Ma tra gli oppositori eccellenti spicca soprattutto la «destra» socialdemocratica: dal ministro degli esteri Heiko Maas, poco incline a «passi unilaterali o percorsi solo tedeschi», all’ex segretario Sigmar Gabriel, ora presidente del think-tank filo-americano «Atlantik Brücke» e membro della “Trilateral”.

«La condivisione delle bombe nucleari è un’eredità della Guerra fredda. Purtroppo, con la fine del conflitto il disarmo è stato temporaneo e insufficiente. Per questo ora dobbiamo rimediare: per l’eccessivo numero di armi e per le mutate considerazioni sul loro utilizzo. Nel 2018 Donald Trump ha riformato la dottrina nucleare Usa e oggi quasi due trilioni di dollari vengono spesi globalmente per il riarmo. Non sarebbe meglio utilizzarli per combattere la pandemia e ricostruire l’economia? Chi è oggi il nemico dell’umanità?» chiede il capogruppo Spd, Rolf Mützenich, tra i leader della sinistra del partito.

Mentre il co-segretario Norbert Walter-Borjans, rincara non poco la dose: «Ho preso una netta posizione contro lo stoccaggio delle atomiche in Germania. Sono armi disumane e per di più nelle mani di un imprevedibile presidente statunitense».

Problema atomico per la Grande Coalizione: il no alle bombe Usa porta con sé anche il veto della Spd a rimpiazzare i vecchi bombardieri Tornado: gli unici aerei della Luftwaffe con capacità atomica.
Non a caso la prima a saltare sulla sedia è Annegret Kramp-Karrenbauer, segretaria Cdu e ministra della Difesa: «Chi vuole rinunciare a queste armi indebolisce la nostra sicurezza. Finché ci saranno Stati nucleari al di fuori dalla nostra comunità di valori avremo sempre bisogno di una forte posizione negoziale». Tuttavia, in punta di diritto, la proposta Spd è ancorata più che saldamente.

L’articolo 3 del «Trattato Due più Quattro» sulla riunificazione tedesca (patrimonio documentale dell’Unesco) del 15 marzo 1991 stabilisce che la Bundesrepublik «rinuncia alla produzione, possesso e controllo di armi nucleari, biologiche e chimiche».

Da qui la dismissione – già dal giugno seguente – dell’arsenale atomico sotterrato nelle basi russe nella ex Ddr, come previsto dall’accordo tra Bonn e Berlino controfirmato da Usa, Russia, Francia e Regno Unito.

Cinque anni dopo la Corte di Giustizia de L’Aia sancisce che sia l’impiego che la minaccia di utilizzo di armi nucleari sono contrarie al diritto internazionale; anche se «dimentica» di bandirle in caso di «difesa da minaccia estrema». È il cavillo che oggi consente a Washington di mantenere gli ordigni nei bunker degli aeroporti militari in Germania come in Italia, Belgio, Paesi Bassi e Turchia. Come rivelano i cablo riservati dell’ambasciata Usa a Berlino (diffusi da Wikileaks) attualmente nella base aerea di Büchel in Renania-Palatinato risultano stoccate 20 bombe atomiche modello “B61”.

Munizioni molto poco segrete. Già nel 2009 l’ex ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier – attuale presidente della Repubblica – chiese ufficialmente il ritiro totale delle bombe americane dal suolo tedesco. All’epoca era d’accordo perfino il liberale Guido Westerwelle. Ma non la cancelliera Angela Merkel che in nome del multilateralismo impose di incardinare qualunque negoziato sulla porta della Nato. Poco importa se lo stallo imposto da «Mutti» nel 2010 è costato al governo federale la denuncia al tribunale distrettuale di Berlino dell’attivista per la pace Elke Koller. Ancora meno che l’anno dopo il Bundestag abbia stabilito, a larga maggioranza, che Berlino deve continuare a «sostenere con decisione con l’alleato Usa il ritiro delle sue armi nucleari».