Il telescopio spaziale James Webb, che dovrebbe essere lanciato il 18 dicembre dalla base spaziale di Kourou nella Guayana francese, dove è arrivato proprio la settimana scorsa per nave, continuerà a chiamarsi James Webb. Lo ha comunicato formalmente la Nasa qualche giorno fa. Negli ultimi mesi, all’Agenzia spaziale statunitense era arrivata una richiesta da parte di un gruppo di astronomi queer che protestavano contro la scelta che aveva preso unilateralmente l’allora amministratore della Nasa Sean O’Keefe nel lontano 2002. Sotto la guida di James Webb, la Nasa negli anni Sessanta, il suo decennio d’oro, si preparava allo sbarco sulla Luna con il programma Apollo.

L’AGENZIA SPAZIALE si è presa qualche mese di tempo per «studiare» il tema ma alla fine di settembre ha comunicato, senza fornire né documenti né i risultati delle sue indagini, che non «esistono prove che spingano a decidere di cambiare nome» al più importante telescopio spaziale che sarà mai stato messo in orbita.

Ma se la scelta di dare a un telescopio il nome di una persona che non era scienziata era inusuale, e senza praticamente consultare la comunità astronomica che in quel telescopio, successore dell’emblematico Hubble, ripone enormi aspettative, la possibilità di cambiare il nome di questo telescopio venti anni dopo e a poche settimane del lancio era davvero remota. La questione sollevata da Chanda Prescod-Weinstein, Sarah Tuttle, Lucianne Walkowicz e Brian Nord non era secondaria: in sostanza, dicono i quattro firmatari della richiesta (sostenuta da più di 1200 firmatari), Webb non solo guidò la Nasa quando anche dentro l’agenzia spaziale veniva applicata quella che sarebbe stata chiamava lavender scare (terrore violetto), l’epurazione dall’amministrazione pubblica dei lavoratori Lgbt, ma secondo alcuni documenti avrebbe appoggiato attivamente queste politiche anche quando occupava altre posizioni governative. Esistono prove di almeno un incontro in Senato, e poi esiste il noto caso di Cliffer Norton, un impiegato della Nasa gay allontanato dall’ente quando ne era a capo Webb.

Lo storico David Johnson dell’università della Florida del sud, autore di un libro che racconta proprio la storia della lavender scare, ritiene che pur essendo importante aprire il dibattito su questa pagina buia del passato, «demonizzare Webb non è giusto. È vero che fu un dirigente nel periodo in cui si licenziavano gli omosessuali. Ma io non conosco nessuna prova che fosse il promotore della purga. Partecipò sì a un incontro con la amministrazione Truman per contenere l’isteria del maccartismo e del terrore violetto, ma non sappiamo che disse». E infine: «non avrebbe potuto far nulla per salvare Norton, allora quella era la legge». Il problema era che, in quell’epoca, nessuno si opponeva. «Se dobbiamo farne una questione di responsabilità istituzionale, allora anche Kennedy e Johnson erano responsabili come Webb: e la NASA ha un Kennedy Space Center e un Johnson Space Center», dice.

I QUATTRO PROMOTORI non l’hanno presa bene. Walkowicz ha rassegnato le dimissioni come consulente della Nasa; «non merita il mio tempo», ha scritto in una lunga e polemica lettera aperta, e «mi meraviglia che abbia così poca capacità di autoanalisi rispetto alla propria partecipazione in una oppressione sistematica».
In un messaggio email, i quattro scrivono che si tratta del «tipico esempio di gaslighting (una manipolazione per mezzo della quale si istilla il dubbio nella vittima di non essere sana di mente) che tutte le persone Lgbti+ in fisica e astronomia dobbiamo affrontare quotidianamente. Affermare che non ci sono prove che giustifichino il cambio di nome vuol dire che quello che le persone queer sentiamo come doloroso non è importante per la Amministrazione Biden e i capi della Nasa».

«CHE LA NASA mantenga un nome così controverso è già abbastanza deludente: il fatto che tutto sia stato deciso a porte chiuse sostenendo che non ci sono prove della bigotteria di Webb è proprio codardo», afferma invece Alfredo Carpineti, a capo dell’organizzazione Pride in STEM che rivendica il ruolo della scienza Lgbt. Nel complesso, pur se nascosto dietro le fanfare del lancio di un telescopio che rivoluzionerà l’astronomia, si respira delusione perché sia la Nasa, sia l’Agenzia spaziale europea Esa, sia quella canadese Csa (che partecipano nel progetto) sembrano aver perso un’opportunità: come dice Prescod-Weinstein, «gli strumenti scientifici più importanti dovrebbero portare il nome del meglio che l’umanità può dare di sé».