Pensare che qualcuno lo aveva anche scritto. «I calciatori spagnoli sono peggio degli italiani, nessuno conosce le parole dell’inno». L’ignoranza è una brutta bestia. Quasi tutti amano la Spagna, ma pochi la conoscono davvero. E chi scrive non è tra questi. La Spagna è antica e moderna, sfacciata e misteriosa, tutto insieme, in rapida sequenza. È surreale come nei film di Buñuel, surreale e solare come nelle commedie di Almodovar. Se pensi di aver capito come andrà a finire, rischi di perderti la parte più bella della storia.

ED  È QUELLO che accade in questi giorni, anche alla Spagna del calcio. Per la cronaca: all’esordio, due sere fa, le Furie Rosse del commissario Luis Enrique hanno pareggiato 0-0 contro la Svezia. È stato il primo pareggio senza gol di Euro 2021. Ed è la sintesi della partita incompiuta. Gli spagnoli hanno creato molto di più, sprecando la migliore occasione – gol con Alvaro Morata. Però anche la Svezia ha avuto la sua incompiuta, solo due minuti dopo: dribbling mozzafiato di Isak, tiro secco verso la porta avversaria, dove sulla riga era piazzato lo spagnolo Llorente che rinviava la palla, mandandola a sbattere sul palo. Cosa avranno da dire gli spagnoli nelle prossime partite? Non è ancora chiaro.
La storia del loro pallone è movimentata: arma di propaganda franchista con il Real Madrid, simbolo di indipendenza e cuore con l’Armata Catalana del Barcellona, aveva nelle squadre di club le sue stelle internazionali. Diversa la faccenda della Nazionale. Perché le Furie Rosse (chiamate così per il colore della maglia e la vis agonistica da corrida) si erano limitate a vincere un solo Europeo, quello del 1964, giocato in casa. Dove la Spagna sconfisse 2-1 in finale i campioni uscenti dell’Unione Sovietica. Francisco Franco non avrebbe accettato un altro risultato.
Poi più nulla, «magari belli, ma sempre incapaci di portare a termine l’impresa». Fino all’esplosione 2.0, quando iniziarono a vincere tutto: l’Europeo del 2008, il Mondiale del 2010 e ancora Euro 2012. E tutto accadeva mentre a Madrid è dintorni le cose sembravano cambiare, un’altra volta.

DIECI ANNI FA,  tra un Mondiale e un Europeo vinti, le piazze spagnole iniziarono a riempirsi; non c’era nulla da festeggiare, i motivi erano diversi. Il 15 maggio 2011 più di ventimila spagnoli occuparono Puerta del Sol a Madrid. Erano infuriati per le misure di austerità e i privilegi dei politici e dei banchieri. Erano gli indignados. Riscossero subito un ampio consenso popolare «scuotendo la Spagna dalle fondamenta» scrissero anche i britannici di «The Economist».

Come è cambiata la Spagna a dieci anni dall’inizio di quell’indignata protesta?
In estrema sintesi: un rinnovamento c’è stato, magari parziale, discretamente efficace nella lotta alla corruzione; il vecchio sistema bipartitico si è mostrato più resistente del previsto e i politici sembrano ancora scollegati dagli elettori. Insomma, c’è ancora parecchio da fare per non lasciare il lavoro incompiuto.

E se si torna al calcio ecco che stasera alle 21 scende in campo l’Italia, che ha già battuto 3-0 la Turchia e vuole concedere subito il bis contro la Svizzera. È quel che serve per non lasciare il lavoro a metà. «Siamo una squadra spensierata», ha confermato Francesco Acerbi, difensore azzurro. Scanzonati e pronti a cantare all’inno di Mameli. Perché quelli dell’Italia conoscono a memoria Fratelli d’Italia …. Non sono come gli spagnoli, che in campo torneranno sabato sera, contro la Polonia. Quando nessuno tra le Furie Rosse canterà la parole della Marcia Reale. Semplicemente perché è una marcia e parole non ne ha.