Ieri il ministero della sanità spagnolo ha comunicato circa 7.000 nuovi casi, di cui 3.300 relativi alle ultime 24 ore, concentrati soprattutto a Madrid e Barcellona, che da sole contabilizzano la metà dei positivi totali; 131 sono i morti nell’ultima settimana.

Mentre la curva dei casi continua inesorabilmente ad aumentare, sulla Spagna come sull’Italia e su gran parte dei paesi europei aleggia uno spettro: quello del ritorno a scuola. Otto milioni di studenti e 700mila alunni, e le loro famiglie, attendono di capire come riapriranno le aule dopo sei mesi di interruzione forzata. Una preoccupazione che sembra non scalfire la tranquillità né del governo spagnolo, né di quello della maggior parte delle comunità autonome, che in Spagna hanno la competenza esclusiva dell’educazione, così come della sanità.

È importante ricordarlo: in Spagna ci troviamo di fronte a 16 amministrazioni diverse, che devono mettere d’accordo 16 assessorati all’educazione con 16 assessorati alla sanità, cioè 32 criteri differenti. Il ministero nazionale dell’educazione, così come quello della sanità, privi di potere reale, non sono riusciti a coordinare gli sforzi (a giugno il ministero dell’educazione aveva concordato con le comunità autonome alcune linee guida generali, escludendo i Paesi Baschi e Madrid che le avevano respinte, ma era abbastanza generico e lasciava poi la palla alle regioni).

Finalmente, e senza fretta, per giovedì prossimo è prevista una riunione di coordinamento fra ministero e comunità autonome dedicata alla ripartenza dell’anno scolastico, che inizierà fra il 4 e il 14 settembre. Ma le comunità arrivano in ordine sparso a questo appuntamento e sulla comunità di Madrid, l’unica che non ha ancora presentato un protocollo per l’inizio dell’anno, si abbatte uno sciopero convocato dai sindacati dei docenti per i primi giorni di scuola. Chiedono un «ritorno in classe responsabile». Dopo anni di tagli in tutte le comunità, e in piena pandemia, i sindacati esigono una diminuzione del numero di alunni per classe, con la divisione delle classi, un aumento di assunzioni di professori, un aumento di personale di pulizia, amministrazione, integrazione sociale e servizi educativi complementari, la dotazione di personale di infermeria in ogni centro e un aumento delle risorse per l’attenzione alla diversità.

Non che le altre comunità siano messe meglio: in Andalusia, 200 Ampa, le associazioni di genitori presenti in ogni scuola, minacciano di non mandare i figli a scuola se la Giunta non prende misure più efficaci per garantire la sicurezza di ragazzi e docenti, dopo che decine e decine di direttori scolastici avevano firmato una lettera di protesta contro la Giunta e molti si erano dimessi.

Anche in Catalogna, comunità molto colpita dal virus, la situazione è confusa: l’assessore locale all’educazione aveva promosso un uso minimo di mascherine e nessun cambiamento del numero di alunni per classe (fino a 30) e, oltre all’astratto concetto di “gruppo bolla”, o “gruppi di convivenza stabile”, indicato dal ministero a Madrid (gruppi di alunni che in teoria non dovrebbero interagire con altri e che hanno implementato quasi tutte le comunità autonome), non ha proposto misure particolarmente stringenti, né si sono ancora visti i 5.000 nuovi professori promessi. Intanto però è scontro con l’assessorato alla salute e ancora non è chiaro quali decisioni verranno effettivamente prese (ora dicono che forse le mascherine saranno obbligatorie): in classe si torna il 14 e anche qui le associazioni dei genitori protestano perché i protocolli prevedono solo cosa fare dopo l’identificazione dei contagi e poco per evitarli.

L’unica comunità dove sembra le cose siano più chiare è quella di Valencia: il protocollo, a parte il limite di 20 alunni per aula, prevede l’assunzione di 4.300 docenti e fissa criteri su come ripartire alunni e docenti e impartire le lezioni con l’obiettivo di minimizzare i contagi.

Alcune regioni prevedono una didattica non del tutto in presenza, altre lezioni alternate o frequenza un numero inferiore di giorni, tamponi regolari a docenti, l’acquisto di mascherine e gel o infine un uso differente degli spazi comuni come mense, palestre e cortile, il tutto per diminuire il numero di persone negli ambienti chiusi. Stando alle promesse di ciascuna delle comunità autonome, dovrebbero essere contrattualizzati circa 20mila nuovi docenti (precari).