Con una sentenza ufficiale della scorsa settimana, la Corte suprema spagnola ha posto il veto all’uso di bandiere «non ufficiali» o di qualsiasi espressione politica all’interno e all’esterno degli edifici pubblici. Secondo il testo l’uso di bandiere o simboli non ufficiali negli edifici e negli spazi pubblici non è «compatibile con l’attuale quadro costituzionale e giuridico o con il dovere di obiettività e neutralità delle amministrazioni spagnole».

La notizia è stata subito rilanciata dalle principali agenzie stampa marocchine che indicano questa decisione come l’ennesima sconfitta per il Fronte Polisario che «sta perdendo sempre più terreno a livello diplomatico in Spagna».

Nello specifico, occasionalmente o in modo permanente, «la bandiera della Repubblica Araba Democratica Saharawi (Rasd) non deve coesistere con la bandiera della Spagna e le altre legalmente stabilite, perché non riconosciuta a livello internazionale».

In una dichiarazione al quotidiano spagnolo El Pais, il rappresentante del Fronte Polisario in Spagna, Abdullah Arabi, ha espresso preoccupazione per la recente decisione della Corte, descrivendola come un tentativo di «negare l’evidenza».

«La giustizia spagnola ha scelto di avere una posizione politica contraria al diritto internazionale, visto che il Sahara occidentale rimane un territorio occupato in attesa di un referendum di autodeterminazione – ha continuato Arabi – La Spagna non può sottrarsi alle sue responsabilità storiche verso i saharawi e dai suoi obblighi nei confronti di uno dei 17 territori non autonomi riconosciuti internazionalmente dall’Onu».

Il riferimento del rappresentante del Polisario è legato al ritiro spagnolo dalla colonia del Sahara occidentale, nel 1975, e dalla successiva occupazione da parte di Marocco e Mauritania di quel territorio, favorita da accordi segreti tra Madrid e Rabat.

Tesi sostenuta dalla recente pubblicazione di documenti segreti riguardo l’alleanza tra il governo spagnolo e la monarchia marocchina, che confermano come «la Spagna abbia considerato il Sahara come la sua 53a provincia e si sia accordata con il Marocco per la sua conquista».

Già lo scorso 25 maggio, per la Giornata dell’Africa, Arabi aveva protestato ufficialmente, dopo il tweet della ministra spagnolo degli Affari esteri, Maria Gonzalez Laya, che «aveva rimosso la bandiera della Rasd dalla mappa politica dell’Unione Africana». «La Rasd è un paese fondatore e un membro a pieno titolo dell’Unione Africana – ha denunciato il Polisario – Attendiamo una rettifica a livello europeo, poiché le “ottime” relazioni economiche e politiche tra Marocco e Spagna non devono alterare l’ordine internazionale di un altro continente che è composto da 55 paesi, compresa la repubblica saharawi».

La decisione della Corte suprema ha ricevuto numerose critiche da parte di avvocati, politici, accademici e giornalisti spagnoli, che l’hanno definita «irragionevole e offensiva nei confronti di un popolo in lotta per la propria libertà».

In una recente dichiarazione ufficiale numerosi politici della Sinistra europea (Gue), attivisti ed esperti di diritto internazionale hanno sollecitato «la nomina di un rappresentante delle Nazioni unite per il Sahara occidentale (vacante da un anno) e la definitiva organizzazione di un referendum di autodeterminazione», ribadendo la necessità «di monitorare i diritti dei civili nei territori occupati e dei prigionieri politici» a causa delle continue violazioni, violenze e torture da parte di Rabat.