Domenica la Spagna andrà al voto. Si chiude così un anno denso di appuntamenti elettorali (amministrative a maggio e voto catalano a settembre) e si apre una nuova epoca politica, che prende forma sulle ceneri del lungo duopolio Psoe-Pp. Prima della tempesta, però, la quiete: oggi è giornata di riflessione, necessaria dopo una campagna elettorale serratissima, con nota positiva dietro il rumore mediatico che l’ha contraddistinta. Una su tutte: in questo mese di campagna elettorale sono stati organizzati tanti dibattiti (5), quanti in tutto il periodo democratico (5 dal 93 al 2011). Segno di un interesse politico crescente da parte della cittadinanza (queste elezioni si annunciano partecipatissime), e di un’inedita disponibilità al confronto dei nuovi partiti, che ha già cambiato il modo di fare e percepire la politica.

Il silenzio preelettorale imposto dalla legge è stato turbato solo dall’eco mediatica dell’aggressione a Rajoy. Il premier ha scelto di non dare enfasi all’episodio, anche se la stampa vicina al governo e alcuni esponenti del Pp hanno cercato di utilizzare il fatto per raggranellare qualche voto di compassione dell’ultima ora. Per tutti i candidati, tranne Pablo Iglesias, che ha scelto Valencia, la lunga corsa verso lo storico voto di domani, si è conclusa a Madrid. Solo Ciudadanos (C’s) ha chiuso un po’ in sordina, dopo le polemiche per la proposta di riforma della legge sulla violenza di genere, mentre gli altri leader hanno approfittato del finale per consolidare le linee del proprio programma.

Tutti, comunque, hanno approfittato degli ultimi scampoli di campagna per cercare di fare breccia in quel 25% di elettori ancora indecisi, cruciali per l’esito finale.

Pedro Sánchez ha battuto sul tasto del voto utile, cercando di posizionare il Psoe come unica alternativa concreta al Pp.

Rajoy ha insistito sul discorso della garanzia di continuità alla (presunta) ripresa economica.

Pablo Iglesias, invece, ha chiamato i rinforzi. Nei giorni scorsi lo scrittore e attivista Owen Jones è accorso dall’Inghilterra, mentre la sindaca di Barcellona Ada Colau è stata chiamata negli ultimi meeting come «testimonial» della solidità del progetto di Podemos. In cui Iglesias sta cercando di occupare lo spazio del Psoe come alternativa di sinistra al Partido popular.

La lotta tra Podemos e Psoe è stata peraltro una delle note di fondo della campagna, che ha castigato soprattutto i socialisti, impegnati in una difficile guerra su due fronti che gli ha fatto perdere voti sia a sinistra (verso Podemos), sia a destra (verso Ciudadanos). Nella sfida del nuovo contro il vecchio, i partiti emergenti hanno fatto fronte comune, seppure da posizioni ideologiche nettamente distinte, per rinchiudere, con successo, il Psoe nel recinto della vecchia politica.

Dietro il chiasso degli slogan, l’ultima giornata di campagna ha lasciato qualche importante messaggio politico, la cui attendibilità bisognerà però confermare a urne chiuse.

Rajoy ha negato di aver trattato con il Psoe una grande alleanza in stile tedesco, che d’altra parte i due partiti hanno sempre escluso e che sarebbe un vero e proprio suicidio politico per entrambi. Ma non è a sinistra che guarda il premier per dare il via al gioco delle coppie: se il Pp, come pare probabile, dovesse risultare la prima forza, l’accordo più naturale sarebbe con la nuova destra di Ciudadanos.

Albert Rivera, il leader, di C’s, ieri ha detto chiaramente che non appoggerà Podemos (ipotesi plausibile fino a pochi giorni fa), e ha fatto intendere di non essere contrario a un’intesa con il Pp, dicendo che «non appoggerà una coalizione di sconfitti». In altri termini non sosterrà un’eventuale alleanza tra Psoe e Podemos in chiave anti-Pp (temutissima dai popolari che a microfoni spenti la chiamano alleanza di superrojos, «super rossi»).

Comunque si risolva la questione alleanze, il voto di domani sarà l’inizio di una nuova e inedita tappa, impostata per la prima volta su una necessaria polifonia politica.

Tra gli spagnoli, qualcosa nel modo di vedere e di concepire la politica è cambiato.

E questo scatto, che sarà ratificato dalle urne, potrà diventare duraturo e strutturale. I partiti nuovi dovranno riuscire a non deludere le aspettative e l’entusiasmo degli elettori (che in un anno, da perfetti sconosciuti, li hanno catapultati in parlamento), dando voce a quella necessità di rinnovamento, covata all’ombra dei tagli, della crisi e della corruzione della classe dirigente.