In un mondo votato all’apparire dove ognuno vuole soprattutto dirci chi è e dove si trova, un mondo in cui la cyber-presenza e l’identità online sembrano regolare gran parte della vita sociale, alcuni decidono di negare la propria identità e di agire sotto forma di soggetto collettivo senza volto: nasce così il movimento politico Anonymous.

Ma è possibile un gesto politico senza l’assunzione di responsabilità di chi lo compie? Durante le proteste pubbliche i sostenitori di Anonymous scelsero di indossare la maschera di Guy Fawkes, un cospiratore inglese giustiziato nel 1606 per aver attentato alla camera dei Lord. La maschera di Fawkes è diventata virale dopo il successo del film V per Vendetta (2005), di James McTiegue, basato su un fumetto omonimo di Alan Moore che descrive una distopica futura dittatura nel Regno Unito combattuta da un anarchico libertario che si nasconde sotto la sua maschera. Il soggetto fu scritto dalle sorelle Wachowski. La combinazione di anonimato e uso di potenti simboli mediali hanno reso Anonymous uno dei movimenti libertari e antagonisti più importante degli ultimi anni, sebbene non manchino le inquietudini.
Com’è possibile, per esempio, impedire alle spie di partecipare ad Anonymous, conoscerne le mosse, individuando i responsabili per tradirli o solo infiltrarsi per orientarne le scelte? Qual è il confine tra i comportamenti dei servizi segreti e dei loro agenti e quelli degli attivisti di Anonymous? A queste domande cerca risposte con l’instancabile lavoro di ricerca e di osservazione partecipata Gabriella Coleman, un’antropologa nata a Puerto Rico, formata a Chicago, che ha una cattedra alla McGill University a Montreal in Canada.

Tempo fa, ha preso parte a un dibattito sulla lista di discussione Nettime – un luogo storico del dibattito politico e critico sulla rete e sulla cultura digitale – su una possibile commistione all’origine di Anonymous e del fenomeno dell’alt-right, il coacervo di gruppi e personalità di estrema destra che opera in rete, apertamente razzista e neo-nazi. Entrambi gli ambienti sembrano aver avuto origine nel fenomeno dei troll, i disturbatori della rete, che hanno popolato le imageboard di 4chan, in particolare la random board (/b/), una bacheca pubblica online dove si comunica con immagini invece che con i testi, cercando di superare gli altri in oscenità e abiezione. «Biella» Coleman però nega che si tratti di un vero e proprio collegamento.

Sebbene tra i troll si trovino anche seguaci della destra, il fenomeno di Anonymous è completamente diverso, secondo l’antropologa, per le tattiche di guerriglia e per la struttura dell’organizzazione. Se anche in alt-right si adotta l’anonimato, l’organizzazione si basa su figure dominanti top-down che determinano obiettivi e strategie. La struttura organizzativa gerarchica è del tutto assente in Anonymous. Inoltre mentre alt-right ha fallito nel diventare un movimento internazionale, Anonymous ha cellule in ogni area del pianeta.
Il recente lavoro di Coleman su Anonymous è sintetizzato in un libro, tradotto in italiano da Stampa Alternativa: I mille volti di anonymous (pp. 473, euro 24). Dopo il nostro incontro al convegno Fear and Loathing of the Online Self (tenutosi a Roma presso la John Cabot University e l’Università Roma Tre) abbiamo condotto con Biella una lunga discussione via email, di cui riportiamo qui una sintesi.

Come antropologa, cosa l’ha spinta a compiere un lavoro di ricerca su Anonymous?
Mi sono avvicinata ad Anonymous casualmente, attraverso un progetto più circoscritto che riguardava Scientology. Molti degli hacker che intervistavo erano coinvolti in una serie di proteste contro la chiesa di Scientology durante gli anni ’90, anche solo per puro divertimento. Poi nel 2007 mi sono ritrovata all’Università di Alberta in Canada, dove è custodito il più grande archivio su Scientology. All’epoca, Anonymous era solo un gruppo di troll che perseguiva quello che in gergo si chiama il «lulz» – un misto di dissenso sarcastico, humor nero e godimento estremo. L’obiettivo era prendere in giro o peggio umiliare e molestare bersagli prescelti. Ero convinta che anche nel caso del nuovo attacco a Scientology del 2008 come in passato, questa «massiccia presa per i fondelli» si sarebbe sgonfiata velocemente. Mi sbagliavo.Qualche anno dopo, Anonymous si trasformò ancora più radicalmente in un movimento di protesta basato sulla rete ma con una portata globale. Nodi del movimento cominciarono ad apparire ovunque con attivisti che si cimentavano in una varietà di cause: dalle lotte contro regimi autoritari, a quelle per i diritti ambientali e alle campagne contro la censura di stato o delle multinazionali. C’era molta attività di hacking.

Come ha gestito il suo coinvolgimento anche emotivo, mantenendo la distanza critica, visto il metodo di osservazione partecipata utilizzato?
In generale, gli antropologi non cercano l’imparzialità. L’imperativo centrale del nostro lavoro – l’attività sul campo – ci spinge a scavare quanto più profondamente nelle comunità, nelle persone che abbiamo deciso di studiare. Questi limiti non sono esclusivi del metodo antropologico. Non so se esista una forma di conoscenza umana che possa definirsi neutrale o criticamente distante: qualsiasi ricercatore sarà sempre animato da uno specifico orientamento disciplinare o da una prospettiva. Quello che mi sono prefissata era la trasparenza sul mio posizionamento. Il lettore potrà arrivare a conclusioni diverse dalle mie, proprio perché ho sempre dichiarato il mio punto di vista sull’oggetto di ricerca. Quando Anonymous si cimentava in operazioni temerarie, edificanti, ammirevoli o problematiche ero galvanizzata o spaventata insieme a loro.

Un paragrafo del suo libro è intitolato «legittimità vs. legalità»: cosa pensa di tale contrasto?
La domanda mi fa venire in mente una delle mie citazioni preferite di Ursula Le Guin: «per creare un ladro, crea un proprietario; per creare il crimine, crea le leggi». Le leggi non sono mai legittime di per se stesse, nonostante i cittadini ne abbiamo usate alcune per chiedere, o più raramente, per cercare di assicurarsi la giustizia. Le leggi possono essere brandite sia dai poveri che dai potenti. Molte, anche nelle nazioni esplicitamente democratiche come l’Italia o gli Stati Uniti sono solo una mistificazione che vale la pena sfidare. La schiavitù era legale. L’Apartheid era legale. Ora negli Stati Uniti stanno approvando delle leggi che trasformeranno l’attività di protesta in un crimine potenziale… Ci sono norme sull’ambiente, pensate per proteggere i cittadini e gli abitanti, eluse costantemente dalle imprese. Qualche volta l’unico modo di assicurarsi un cambiamento sostanziale è sconfiggere o ignorare le leggi. Se questo debba prendere la forma di un’azione radicale o di una disobbedienza civile più di stampo liberale è oggetto di discussione strategica per attivisti e organizzatori politici di tutti i tipi ed è riconosciuto come pratica legittima e necessaria.
Uno degli aspetti più affascinanti del mio periodo trascorso a indagare su Anonymous è stato osservare come un gruppo di giovani attivisti decidesse su queste questioni: spesso lo facevano agendo, in maniera sperimentale, ma alla fine consideravano la fedeltà cieca alla legge come regressiva e politicamente pericolosa.

Può spiegarci il collegamento tra le azioni di Wikileaks e la trasformazione politica di Anonymous in un soggetto collettivo rivoluzionario?
Nel dicembre 2010, i destini di Anonymous e di Wikileaks si fusero subito dopo che una sfilza di imprese tra cui Amazon, PayPal e Mastercard spinte dalla pressione del soft government interruppero i servizi all’organizzazione di whistle-blowing, assediata dopo aver reso pubblici i cablogrammi dei diplomatici americani. Dopo il blocco finanziario, Anonymous decise di sostenere Wikileaks martellando le aziende con attacchi distribuiti di denial of service. Questo a sua volta portò a un’enorme attenzione mediatica. Anonymous, essenzialmente, si trovò a cavalcare la visibilità geopolitica di Wikileaks, ma presto divenne un attore importante e autonomo. Quello che è successo nei mesi seguenti è stato ancora più importante: Anonymous fu coinvolto in tutti i momenti di liberazione del 2011. Questi interventi attivarono una sensibilità più rivoluzionaria, se non altro perché nel movimento si inserirono attivisti più progressisti, anarchici e di sinistra.

Lei è convinta che ci sia un metodo rivoluzionario nelle pratiche di Anonymous?
Non voglio spingermi al punto da descrivere la natura di Anonymous come rivoluzionaria, ma ci sono in esso aspetti ribelli e sovversivi: oltre al coinvolgimento nei movimenti rivoluzionari, la critica tagliente e senza compromessi alla cultura della celebrità e all’individualismo. I partecipanti al movimento – molti dei quali non hanno mai infranto le leggi – rinunciano all’obiettivo del riconoscimento personale. È una pratica rivoluzionaria, visto che la società dipende così tanto dall’individualismo da aver eletto una celebrità slavata e narcisista come presidente, che ha fatto divampare attività conflittuali e distruttive. L’ultimo aspetto rivoluzionario riguarda i metodi di lotta: la capacità di esercitare l’hacking per acquisire documenti e innescare fughe di notizie nell’interesse pubblico. Il risultato dei tanti anni di hacking di Anonymous ha prodotto una nuova strategia per scoprire e far emergere l’evidenza della corruzione