Questa volta non si tratta di piccoli aggiustamenti, «gli italiani sono stanchi di prudenza». Si parte dal diktat della spending review (37 dirigenti in meno, 6 di prima fascia, 31 di seconda) per ridisegnare il ministero dei beni e le attività culturali. Ne aveva bisogno quel dicastero un po’ bulimico e sicuramente poco snello, ma stavolta il Mibact cambia proprio pelle. Una cura, quella a firma di Dario Franceschini, che più che dimagrante, è una specie di doping per far tagliare il traguardo ai cavalli vincenti, col rischio di lasciare al palo gli «altri», la maggioranza. Tra le centinaia realtà museali sparse sul territorio, solo una manciata conquista la pole position. Sono quelle che si valorizzano grazie al loro appeal mondiale, basta pronunciarne il nome: verranno gestite non più da soprintendenti, ma da dirigenti di prima fascia ed esterni, tramite un bando pubblico.

E i piccoli musei, quel patrimonio diffuso che costituisce la vera identità del paesaggio culturale italiano? Non verranno abbandonati, afferma Franceschini, ma entreranno in un meccanismo virtuoso e saranno al centro di un sistema di solidarietà. «Abbiamo fatto la scelta che il massimo livello di apicalità dell’amministrazione venga utilizzato per guidare gli elementi di massima eccellenza del Paese», dice il ministro. L’idea è quella di cancellare la guida «burocratica» di istituzioni-star per renderla «meritocratica» (un po’ quello che sta avvenendo nella scuola pubblica).

Luoghi come Colosseo, Uffizi, Capodimonte, Pinacoteca di Brera, Galleria dell’Accademia di Venezia non potranno che benificiarne. Alla base di questa visione – rivoluzionaria sì perché per la prima volta, dopo anni di tentativi falliti, si toglie potere decisionale alle soprintendenze – manca la prospettiva territoriale, l’immagine di un’Italia connessa, non frammentaria con picchi qua e là di meraviglie, un’Italia con monumenti, pinacoteche e chiese che sono tutt’uno con i luoghi dove sorgono e che, in quanto tali, fanno sistema, rappresentano una rete culturale vivente, irrorata di vene e capillari – i piccoli musei, le collezioni particolari, la norma al posto dell’eccezione. L’impulso (renziano?) al rovesciamento totale di potere richiede però una precisa idea del funzionario/soprintendente: quel cliché che lo immagina figura polverosa e fuori del tempo, abbabicato al suo feudo. Ce ne sono anche così, ma sarebbe bastato rimuoverli dal loro incarico, prima che facessero danni (l’Aquila insegna). Franceschini assicura che nessun manager della Coca-cola andrà a dirigere la Galleria Borghese o Pompei (a Cinecittà-Luce è successo con un boss di Mediashopping e prima ancora c’è il fulgido esempio di Resca, ex guru di McDonald’s Italia, poi direttore generale dei beni culturali).

Sulla scia della razionalizzazione, la direzione centrale Belle arti e paesaggio (l’archeologia rimane a parte) sarà l’unica linea di comando: il parere dei soprintendenti non sarà vincolante, ma posto a giudizio da una commissione mista che potrà riesaminarlo e sfiduciarlo. Franceschini si è visto recapitare una lettera collettiva degli storici dell’arte che ponevano l’accento sul valore della tutela, ma ieri ha liquidato l’appello con poche parole: preoccupazioni fuori luogo.

Fra i punti più controversi della riforma Mibact, spunta il nuovo ruolo dato alle Direzioni regionali: saranno «segretariati», con il compito amministrativo di coordinare gli uffici periferici e specifiche competenze nel turismo. E chi sarebbe preposto ad agire come interfaccia del governatore di turno o del comune in un paese in cui mancano i piani regolatori o sono ridotti a carta straccia? Anche qui, risolverà l’annoso problema un comitato misto (interno/esterno), di garanzia.

La riforma, presentata a percorso legislativo quasi concluso, può riassumersi così: dimezzamento delle linee di comando, centralizzazione decisionale, perdita di autonomia per i funzionari (con l’annessa perdita del loro ruolo di presidi sul territorio) e valorizzazione di musei a cui, in fondo, non è così difficile affidare speranze. Segue poi una razionalizzazione del settore biblioteche e archivi e la creazione di nuove direzioni generali a costo zero: «Educazione e ricerca», «Arte, architettura contemporanea e periferie urbane». Queste ultime due hanno un fascino indiscusso. Entrambe lancerebbero il Mibact in un panorama globale. Naturalmente solo se fornite di risorse.