Rispetto alla mezza rottura della scorsa settimana, il tavolo della ’cosa rossa’, riunito di nuovo ieri per tutto il pomeriggio in una sala della camera dei deputati, fa un passetto avanti. Lo giurano un po’ tutti i presenti, almeno a testimonianza dell’ottimismo della volontà di tutte le anime del possibile ’soggetto’ venturo della sinistra.
Un proposito, quello della costruzione di una ’cosa’ alternativa «alla destra, al Pd e al Movimento 5 stelle» in vista delle future politiche del 2018, condiviso e ormai considerato un dato di fatto anche e soprattutto dai militanti. Così com’è condivisa – ma non è certo una novità – l’intenzione di ufficializzare il prima possibile la nascita dei comitati per il no al referendum costituzionale che si terrà molto probabilmente nell’autunno 2016. L’idea è quella di cominciare a lavorare con il «coordinamento per la democrazia costituzionale» nei territori anche prima dell’indizione formale del referendum.

La precedente riunione però si era arenata sulla vicenda delle alleanze alle amministrative di primavera. Alcune posizioni restano ancora lontane, persino opposte: per Rifondazione comunista, L’Altra Europa con Tsipras e Pippo Civati – per citare le differenze più marcate – il no alle alleanze vale per tutte le città; per Sel e Stefano Fassina resta invece fermo il no alle «rotture obbligatorie» delle coalizioni cittadine, e insomma il no all’automatismo di una decisione presa a Roma e diramata nei territori senza rispetto delle valutazioni dei militanti e dei dirigenti locali.

Sembrano punti di vista inconciliabili. Eppure una quadra potrebbe essere trovata – ma il condizionale resta d’obbligo – tracciando una sottile linea rossa, e cioè scegliendo di ’sdoganare’ qualche eccezione nelle città in cui la discussione sulle amministrative è già avanzata. Cagliari, per esempio, dove il sindaco Zedda si avvia alla riconferma senza passare per le primarie; e soprattutto Milano dove, allo stato, Sel ha già scelto di partecipare alla consultazione dei gazebo.
Entro qualche giorno una nuova riunione tenterà di definire il tracciato di questa linea rossa. Resta che «il processo unitario è ormai un dato di fatto, anche se sulle amministrative ci sono diverse valutazioni», spiega Nicola Fratoianni di Sel. Ma il partito di Vendola il prossimo sabato dovrà affrontare una difficile discussione interna fra chi accelera sulla rottura con i dem nelle città e chi vuole mantenere le alleanze «dove possibile». Ancora una volta l’ex governatore pugliese dovrà potrebbe giocare il ruolo di «sintesi» fra i suoi.

Fuori dalla discussione del tavolo di ieri invece un passo avanti di sicuro c’è stato sul nodo del nuovo gruppo di sinistra alla camera. Anzi in questo caso i passi avanti sono ben due: ma vanno in due direzioni opposte. Ieri Pippo Civati ha messo nero su bianco quello che da giorni aveva già risposto alla proposta di Sel di fondare un nuovo gruppo alla camera (al senato per ora non ci sono i numeri). I quattro parlamentari fondatori dell’associazione Possibile (Pastorino, Civati, Brignone e Maestri) non sono d’accordo. «Inutile unirsi in un gruppo parlamentare per poi dividersi già alle amministrative», spiegano. E non va bene, scrivono, che quello che succede in parlamento «non coincida con quanto accade fuori» anche perché un processo unitario «non può che nascere dal basso», quindi non nel palazzo. Morale: entro novembre nascerà comunque un nuovo gruppo a Montecitorio, composto dai deputati di Sel e alcuni ex deputati Pd, quelli già usciti (Fassina e Gregori) e quelli in uscita (D’Attorre e altri due-tre colleghi). Civati ne resterà fuori per tentare un’altra strada: quella di una componente nel gruppo misto dove dovrebbe confluire, secondo le sue previsioni, una decina di ex M5S.

Confermati infine gli appuntamenti dell’autunno, che però slittano all’inverno. L’assemblea di Possibile si terrà a metà novembre, quella della ’cosa rossa’ probabilmente nel secondo week end di dicembre (11-13). Ma la data è ancora provvisoria, e soprattutto è fortemente sconsigliabile: coincide con la sesta edizione della Leopolda renziana. Una corazzata mediatica che rischia di rovinare la prima uscita pubblica della nuova sinistra.