«Giuseppe Conte ora è consapevole delle piazze. Ora gira nei mercati. Lui che viene dal mondo accademico, è un professore, ora comincia a capire il senso del Movimento 5 Stelle». Così Beppe Grillo, parlando al telefono venerdì sera alla piazza radunata da Virginia Raggi, ha cercato di restituire coerenza e linearità ai suoi giudizi sul nuovo leader M5S. Come a dire: il battesimo di fuoco della campagna elettorale ha dato a Conte quel quid che gli mancava. In fondo, però, il Fondatore stava anche cercando di gettare lo sguardo nei giorni del dopo-voto, perché se la confusione è molta tra i 5 Stelle, appare certo che ci sarà un prima e un dopo di questa tornata amministrativa.

PER IL M5S, queste elezioni cadono nel mezzo della transizione verso il nuovo soggetto guidato appunto da Conte, al giro di boa della legislatura nel quale i grillini hanno sostenuto tutti e tre i governi e sono stati parte di tre differenti maggioranze parlamentari. Conte ha in tutti i modi sostenuto che i risultati elettorali non cadono sotto la sua competenza, eppure sa bene che difficilmente potrà prescindere dai numeri che verranno fuori dalle urne. Per due motivi, che hanno appunto a che fare con il mutamento che sta guidando (che dovrebbe portare il M5S «rigenerato» stabilmente nel campo del centrosinistra) e con la collocazione strategica centrista e dunque «governista a prescindere» che alcuni, a cominciare da Luigi Di Maio,. vorrebbero assumere.

SE SI ESCLUDONO le vistose divergenze di Roma e Torino, il M5S corre insieme al Partito democratico in Calabria, a Bologna e Napoli. Nel primo caso, con il fronte che si oppone alla destra diviso in tre tronconi, difficilmente riusciranno a spuntarla. A Bologna dovrebbero essere parte della coalizione vincente, ma da soci di minoranza. Diverso il caso di Napoli, dove la competizione interna alla coalizione col Pd è destinata stabilire gerarchie (su questa piazza l’ex presidente del consiglio punta molto). Sui quattordici capoluoghi di provincia che vanno al voto l’alleanza è decollata solo in altri cinque: Varese, Pordenone, Ravenna, Grosseto e Isernia.

IL CHE SIGNIFICA che Conte dovrà maneggiare un risultato disomogeneo e difficile da leggere in maniera univoca. Da lunedì sera avrà di fronte uno scenario ambivalente. Un’affermazione oltre ogni la più rosea delle previsioni di Virginia Raggi, ad esempio, finirebbe per creare più problemi che opportunità al nuovo leader, che si troverebbe in casa una sindaca destinata a diventare personaggio politico nazionale e in rapporti tutt’altro che buoni con i promessi alleati del Pd. Non è un caso che Grillo abbia scelto proprio lei, insieme a Roberto Fico e Luigi Di Maio, per far parte del Comitato di garanzia che vigilerà sulle mosse di Conte nel futuro prossimo e che potrà disporre della facoltà di metterne ai voti la decadenza. D’altro canto, il neo-leader non può neanche auspicare che il soggetto politico che ha appena preso in mano si dissolva sotto i suoi occhi. Così come sarà complicato decidere come muoversi in caso di ballottaggio: gli apparentamenti sembrano esclusi in partenza ma è nella natura delle cose che il M5S sia in grado di fornire una qualche indicazione.

QUANDO ENRICO LETTA saluta il ritorno del bipolarismo parla anche al Movimento 5 Stelle, sa che ancora oggi una parte dei grillini, anche tra deputati e senatori, preferirebbe tenersi le mani libere. «Mi aspetto dei segnali di incoraggiamento per quanto riguarda il nuovo corso che è appena iniziato – ha ripetuto Conte – Abbiamo bisogno di costruire un radicamento, un dialogo costante nei territori ma questo richiede tempo». Il rischio maggiore è che il M5S finisca all’angolo come è accaduto per i due collegi in cui si vota per le suppletive, quello di Primavalle a Roma e di Siena, e dove il M5S si è sfilato senza spiegazioni, quasi sperando di non essere notato. Neanche una desistenza rivendicata, insomma.

LA PARTITA è delicata anche per motivi di composizione politica e sociale dei votanti. Checché ne dicano Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani rivendicando di aver teorizzato per primi l’apertura alla nuova coalizione progressista con i pentastellati, nel M5S sanno bene che per non dilapidare il loro elettorato non possono assumere una caratterizzazione troppo marcata. Lo sa anche Conte, che tiene la barra dritta sull’europeismo (contro il sovranismo) ma cerca una chiave per declinare a modo suo, adeguato alla nuova fase politica, i motivi giustizialisti, interclassisti e post-ideologici che hanno fatto la fortuna del M5S nei suoi primi dieci anni. Non sarà facile e non è detto che sia sufficiente considerare il prossimo 5 ottobre come l’Anno Zero del Movimento 5 Stelle.