Nel 1875 l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe arriva in visita a Venezia. Ad immortalarlo mentre sfila tra un nugolo di gondole vi è il fotografo Carlo Naya che di quel corteo ha l’esclusiva. I gondolieri vogano muniti di mascherina poiché in quel momento a Venezia c’era il colera. Il fotografo Carlo Naya coglie i momenti solenni, i paesaggi, ma anche le professioni del tempo come quello della bigolante che vicino al pozzo tira su l’acqua per venderla per le strade della Serenissima. Il bigolo era l’arco di legno che permetteva di reggere in equilibrio i due secchi di rame.

Palazzo Loredan
Una Venezia sorprendentemente immobile, la tecnologia della nascente fotografia a metà ‘800 non consentiva di fissare elementi in movimento, in cui le acque dei canali sembrano un lucido specchio, quasi metafisico, che possiamo ammirare in esposizione fino al prossimo 29 luglio a Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, nella mostra «Fotografo ed imprenditore. Carlo Naya nella Venezia (ottocentesca) dei chiari di luna», curata da Carlo Montanaro. L’esposizione allestita con i materiali dell’archivio Carlo Montanaro oltreché con quelli della biblioteca dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, e degli archivi Mander, Stefanutti e Turio, è stata realizzata con la collaborazione di Antonello Satta e Francesco Barasciutti. In mostra ritratti, mestieri, paesaggi urbani, l’inaugurazione di una fabbrica di siluri dietro Santa Lucia. In tutto 103 immagini del pioniere che divenne ben presto uno dei primi industriali della fotografia.

La gamma dei rossi
Non fu l’unico a Venezia che ricercò vantaggi economici da questa passione ma fu il primo che intuì l’opportunità offerta dalla tecnica di riprodurre e diffondere le opere d’arte, nonostante in quel periodo la gamma dei rossi non fosse rappresentabile con la allora imperante emulsione ortocromatica. Nel 1864 Carlo Naja (1816-1882) entra nel mercato della fotografia grazie alla esclusiva nella gestione delle immagini degli Scrovegni. Su lastre al collodio 20×27 cm «realizzate dagli originali e senza alcun ritocco», come lo stesso Naya precisa nel catalogo della ditta, riprodusse gli affreschi di Giotto, appena restaurati, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, per conto di Pietro Selvatico Estense, sindaco di Venezia.

«In pressoché tutti i paesi del Veneto si trovano fotografi – scriveva Antonio Errea nel 1870 in un compendio sulla storia e statistica delle industrie venete – molto guadagno ne ricavano, ed è grande lo smercio anche all’estero..degni di particolare menzione sono i lavori fotografici del Naya, e si meritano lodi da giornali di arte e di industria per esecuzione e per la scelta delle cose fotografate…».
In mostra a Palazzo Loredan vi è un campione esauriente dei molti modi in cui nei primi anni si diffuse la fotografia, dalle riproduzioni di quadri celebri, ai paesaggi cittadini che sono andati in parte a sostituire la grafica, «ricordi di Venezia» per i molti visitatori stranieri tra il curioso e l’incantato.

Souvenir
L’isola di San Giorgio, la scuola grande di San Marco, l’Accademia. In esposizione vi sono vari formati, dalle piccole ed economiche «carte de visite», per arrivare agli imperiali, straordinarie stampe di grande formato (40 x50) che diventarono i famosi «chiari di luna», un segno quasi irreale che Naya otteneva aggiungendo al cielo corrugato una colorazione monocromatica. La rievocazione romantica di una città senza tempo, oltre che una sorta di marchio di fabbrica di Naya e del suo staff, tra cui il giovane Tomaso Filippi che interveniva direttamente sul negativo come testimoniano due foto artificiali in esposizione. Non potevano mancare le «stereoscopie» visibili tramite occhialini monouso e le vedute spettacolarizzate come «il giorno e la notte» per aletoscopio, uno strumento inventato dal fotografo Carlo Ponti prima amico e poi concorrente «copiato» da Naya.

Autorialità
Carlo Naya ha avuto nella storia della fotografia, un ruolo importante anche perché ottenne, per primo in Italia, il riconoscimento, dopo un processo, della «autorialità» delle sue fotografie, fondando così il diritto d’autore fotografico alla fine dell’Ottocento. A sottolinearlo diffusamente, in occasione della mostra, è il numero speciale dedicato a Naya del periodico «All’Archimede», presentato in anteprima a palazzo Franchetti. Nella rivista Alessandro Rizzardini ha ricostruito, basandosi su documenti ufficiali caparbiamente ricercati, il percorso di vita di Naya e della seconda moglie Ida Lessiak, poi erede risposatasi con lo scultore Antonio Dal Zotto. Mentre Massimo Stefanutti, avvocato specializzato nel diritto d’autore delle immagini (photography lawyer), rievoca tre dei processi intentati da Naya su plagi e pirateria contro colleghi ed ex amici.

Biografia
Naya nasce nel 1816 a Tronzano Vercellese in Piemonte da famiglia agiatissima. Nel 1840 si laurea in legge a Pisa ma anziché dedicarsi alla professione inizia un lunghissimo tour in giro per l’ Europa, l’Asia e il nord Africa. Quindi si ferma a Costantinopoli dove apre un negozio di arte e fotografia nel vivace e centralissimo quartiere di Pera col fratello Giovanni, i due fratelli lavorano sulla immagine riprodotta automaticamente. Alla morte di Giovanni, nel 1856 abbandona la Turchia e va ad abitare a Venezia dove ben presto diventa il primo fotografo di dimensione industriale in una città anche in quel campo ricca di fermenti. Acquista palazzo Molin in campo San Maurizio, 31 stanze su 4 piani, che diventa casa laboratorio e alla fotografia dedica ben 12 stanze. Dapprima lavora con l’ottico e fotografo Carlo Ponti ma successivamente apre in proprio una serie di vetrine negozio in Procuratie Nuovissime in piazza San Marco. In quegli anni nella città lagunare lavoravano numerosi fotografi che spesso si appropriavano del lavoro altrui grazie alla assenza di una normativa che tutelasse il diritto di autore poiché la fotografia (a quel tempo una invenzione recente) non era ancora considerata «opera dell’ingegno».

Contenziosi
Carlo Naya venne coinvolto in ben quattro processi penali e civili, a volte come attore altre come convenuto difeso dal principe del foro Leopoldo Bizio Gradenigo. Il primo si svolse nel 1867, in quell’ anno Naya realizzò una ampia raccolta di riproduzioni fotografiche di opere d’arte, ritoccate e perfezionate dal suo collaboratore Marcovich. Le 294 fotografie vennero classificate come lavoro d’arte fatto a mano e quindi come «disegni» che depositò in duplice copia, per la tutela del diritto d’autore, presso la biblioteca marciana. Quando scoprì però che le copie delle foto depositate nelle due cassette di legno circolavano in alcuni negozi veneziani oltre ad essere riprodotte da uno stabilimento di un fotografo concorrente, denunciò tutti i titolari dei negozi dove le foto venivano vendute. Nel primo grado del processo gli imputati vennero assolti per un vizio procedurale: mancava agli atti il numero della Gazzetta Ufficiale con i dati dell’eseguito deposito. Ovviamente il Naya ricorse in appello dove vinse la causa anche se ne beneficiò la vedova poiché nel frattempo il fotografo era deceduto. Naya a sua volta venne accusato da Carlo Ponti di aver utilizzato le sue foto. Anche in questo secondo caso Naya vinse la causa contro l’ex amico. Ci fu un terzo processo intentato da Naya contro alcuni signori che accusava di avergli sottratto alcune foto dal negozio. Nemmeno la vedova, dopo le sue solenni esequie che ebbero luogo il 31 maggio 1882 nella Chiesa di Santo Stefano, venne risparmiata dalle cause giudiziarie.

INFO
La mostra è visitabile da lunedì a venerdì, dalle 9 alle 17, fino al 29 luglio (ingressi contingentati, con mascherina).www.istitutoveneto.it