Non è che un inizio: i controlli alle frontiere tedesche potrebbero durare settimane, e riguardare, oltre a quello con l’Austria, anche altri confini. La sospensione del trattato di Schengen decisa domenica dal governo di Berlino segna l’avvio di una nuova fase nella gestione dell’«emergenza profughi» in Germania. Un cambiamento che, nelle intenzioni dell’esecutivo guidato dalla cancelliera Angela Merkel, deve avere ripercussioni su tre piani. Il primo è quello delle aspettative dei migranti: il messaggio di «apertura incondizionata» nei confronti delle persone provenienti dalla Siria e altri Paesi in guerra viene significativamente ridimensionato, raffreddando le loro speranze di trovare in fretta una nuova patria in terra tedesca.

Al resto dell’Europa – in secondo luogo – è recapitato un avviso inequivocabile: «Dovete fare la vostra parte nell’accoglienza dei richiedenti asilo, altrimenti ci arrabbiamo». E, infine, la politica interna: dopo giornate all’insegna della solidarietà, il governo Merkel lancia un segnale di attenzione a quella parte di opinione pubblica «preoccupata per la sicurezza», ben rappresentata dai democristiani bavaresi della Csu, il partito-fratello della Cdu della cancelliera nel Land di Monaco.

Il capo del governo della Baviera, Horst Seehofer, non a caso è stato il primo politico di rango ad esultare per la decisione presa a Berlino, intestandosene di fatto il merito: «Sono molto felice che su iniziativa bavarese siano stati reintrodotti temporaneamente controlli alle frontiere». Complice anche il fatto che Monaco è la prima stazione d’arrivo dei profughi in Germania (oltre 60mila dal 5 settembre), la Csu è riuscita nel giro di pochi giorni a imporre una correzione di marcia al governo, approfittando anche delle divisioni interne alla stessa Cdu. Non tutti i colleghi di partito di Merkel, infatti, condividevano la sua linea giudicata «imprudente»: nessuna presa di posizione apertamente critica, ma dichiarazioni di leader regionali importanti – dell’Assia e del Baden-Württemberg, ad esempio – che nei giorni scorsi hanno battuto sempre e solo sul tasto della «sicurezza dei confini esterni» e mai su quello della solidarietà.

Differenze interne che emergono anche sull’ipotesi di una nuova legge sull’immigrazione: la «sinistra» democristiana parrebbe disponibile a introdurre un sistema regolamentato di ingressi sul modello americano, come chiedono i socialdemocratici della Spd, mentre l’ala più conservatrice non ne vuol sentir parlare.

Molto critiche con la reintroduzione dei controlli alle frontiere sono le opposizioni. Per il cosegretario della Linke, Bernd Riexinger, la decisione del governo è un gesto di «incredibile egoismo». Alla grosse Koalition viene rimproverato di fuggire dalle responsabilità che spettano alla Germania quale stato che «trae maggiore profitto dalla politica di impoverimento dei Paesi poveri condotta dall’Unione europea».

La capogruppo dei Verdi al Bundestag, Katrin Göring-Eckart, giudica la sospensione di Schengen una manovra del governo «per distrarre dal proprio fallimento nella gestione dell’afflusso dei profughi». E il suo collega Toni Hofreiter invita l’esecutivo a utilizzare gli euro spesi per le «inutili» ispezioni alle frontiere per migliorare il sistema di accoglienza ormai al collasso. Quel che manca, infatti, sono risorse sufficienti: i soldi ci sarebbero, ma – denuncia in particolare la Linke – il governo dell’austerità non vuole né aumentare le tasse né investire in deficit.
E ad alzare la voce contro la sospensione di Schengen sono anche esponenti della Spd: «I selfie di benvenuto fatti dalla cancelliera nei centri di accoglienza e la reintroduzione dei controlli ai confini non possono stare assieme», attacca il portavoce della sinistra interna Matthias Miersch.