Dietro la formula ufficiale delle “valutazioni positive” nel primo incontro di ieri al ministero dell’Ambiente, il nodo resta ancora tutto da sciogliere. Del resto il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale per la Solvay di Rosignano, che è l’unica sodiera italiana ma ha l’antico vizio di inquinare in lungo e in largo l’ambiente circostante, non poteva arrivare in un momento peggiore per la multinazionale belga della chimica.

Il caso dell’Ilva di Taranto sta scuotendo l’opinione pubblica, che a furia di scandali è diventata un po’ più sensibile sul tema degli “effetti collaterali” delle produzioni industriali. In aggiunta il management Solvay ci ha messo del suo. A luglio la procura di Livorno, dopo quattro anni di indagini, non ha sequestrato gli impianti solo “per il particolare momento storico” – parole del procuratore De Leo – ma ha dettato precise prescrizioni per abbattere entro il 2014 gli scarichi a mare della sodiera. Quelli che hanno reso le “spiagge bianche” di Rosignano un tradizionale set di servizi fotografici para-caraibici. Ma anche, secondo il programma Unep delle Nazioni Unite per l’ambiente, uno dei 15 tratti costieri più inquinati del Mediterraneo.

Il problema è che la Solvay non ha ancora voglia di venire a patti, anche con le sue stesse promesse. Un accordo di programma che la multinazionale aveva sottoscritto nel 2003 con il ministero e gli enti locali, prevedeva di ridurre progressivamente del 70% lo scarico a mare dei fanghi di lavorazione. In altre parole si doveva raggiungere nel 2007 la soglia delle 60mila tonnellate l’anno. Una pia illusione: nel 2008 lo stabilimento ne versava in mare ancora 120mila, l’anno scorso poco meno. Per giunta le indagini della Guardia di finanza hanno anche rilevato la pratica di “annacquare” i fanghi prima che arrivassero nei punti di scarico. In quel “fosso bianco” dove questa estate il limite del divieto alla balneazione è stato raddoppiato, passando da 100 a 200 metri nelle due direzioni.

La risposta della multinazionale, affidata in questi ultimi giorni al nuovo direttore dello stabilimento Daniele Papavero, ha dello sconcertante. Secondo Solvay, le direttive europee sulle “migliori tecniche disponibili” (le Bat, best avaible tecniques) sarebbero meno stringenti dell’accordo di programma. Permetterebbero addirittura lo scarico a mare di 200mila tonnellate annue di fanghi. Quindi la colpa sarebbe del governo italiano, che non le ha ancora recepite. Quanto all’accordo di programma, in questo nuovo contesto sarebbe roba vecchia.

Quella firma invece non è per niente sbiadita, ribattono le realtà ambientaliste e i movimenti sociali dell’area livornese, che insieme a Medicina democratica denunciano da anni la Solvay e la sua sostanziale impunità. Dati alla mano. Nel mezzo le istituzioni e gli stessi sindacati, stretti fra il muro della realtà e l’uscio che la multinazionale della chimica, se a ottobre non arriverà il rinnovo dell’Aia, minaccia invariabilmente di varcare. Anche se, in realtà, ancora non gli conviene.