«Siamo corresponsabili di questa tragedia umana. Le scene viste all’aeroporto di Kabul sono una vergogna per l’Occidente». Dopo l’ammissione della cancelliera Angela Merkel («Abbiamo sbagliato tutti») anche il presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier, scandisce il mea culpa istituzionale per il disastro politico, militare e umanitario di ciò che fino al mese scorso veniva spacciato come “missione di pace” in Afghanistan: la più grande operazione internazionale della Bundeswehr con 1.100 soldati schierati nella zona dell’Indu Kush.

Ma a preoccupare i politici tedeschi, a poche settimane dalle elezioni nazionali, non sono tanto le sorti dei civili afgani quanto il rischio di un’ondata di profughi perfino peggiore dell’emergenza del 2015 quando la Germania accolse oltre 1,7 milioni di rifugiati siriani. Per questo a Berlino tutti si guardano bene dal ripetere il «ce la facciamo» allora pronunciato da Merkel ma spingono per la «soluzione internazionale» che il ministro delle Finanze Olaf Scholz, candidato-cancelliere della Spd, traduce così. «Turchia, Pakistan, Iran e Iraq dovrebbero servire come luoghi di insediamento dei rifugiati».

Vuol dire che la Repubblica federale non ha alcuna intenzione di diventare il polo di attrazione di chi fugge dai talebani, ovvero, politicamente, che il governo Merkel vuole evitare di alimentare i voti per Afd già pronta a cavalcare il mantra dell’invasione degli stranieri. Così, di fatto, la posizione della GroKo coincide con la «moratoria sull’accoglienza dei profughi afgani» chiesta dai fascio-populisti. Sintomatica a riguardo la rassicurazione (ai propri elettori) del segretario Cdu, Armin Laschet, candidato-cancelliere dei democristiani: «Non sarà come il 2015 e non ripeteremo gli errori della guerra in Siria».

Fine di qualunque ipotesi di politica di benvenuto, nonostante «tutti i tedeschi pensano alle sorti degli afgani e la Germania farà il massimo per salvare chi le è stato a fianco in questi anni» come ha sottolineato ieri Steinmeier.

Tuttavia, le operazioni di rimpatrio non procedono esattamente secondo i piani. Ieri è atterrato a Kabul il secondo A-400 della Luftwaffe dopo che il primo lunedì era stato costretto a invertire la rotta per l’impossibilità di usare la pista affollata di disperati in cerca dell’ultima via di fuga. Da qui l’ordine ai paracadutisti di «liberare» lo spazio per permettere l’imbarco dei primi 120 tedeschi mentre altri 100 sperano di poter salire sul terzo aereo previsto per oggi.

Di sicuro, per ora, solo che non ci sarà posto per tutti i collaboratori afgani ed «è un fallimento morale del governo non essersi occupato di loro» come denuncia l’eurodeputato liberale Alexander Graf Lambsdorff prima di precisare, però, come «la Germania non ha alcun obbligo di accoglienza». Non la pensa così la Linke che pretende «la salvezza di più gente possibile, velocemente, senza cavilli burocratici» mentre i Verdi chiedono che non si attenda l’accordo tra gli Stati dell’Ue ma «si cominci intanto a lavorare con i Paesi disponibili ad accogliere i profughi».