Molto prima che a metà romanzo Billy, professione killer, pronunci la formula resa immortale da «Dirty Harry» Callaghan, «Nemmeno io ricordo più quanti colpi ho sparato…», il lettore avveduto ha già capito che se c’è un autore che ispira l’ultimo grande romanzo di Stephen King, Billy Summers (Sperling&Kupfer, pp. 545, euro 21,90, traduzione Luca Briasco), è proprio il monumentale Clint: quello dei grandi film d’azione, ma soprattutto quello scanzonato dei film on the road come Honky Tonk Man e quello tristissimo delle tragedie, come il bellissimo e sottovalutato Un mondo perfetto.
Billy Summers, sin dallo stile per una volta tutto al presente invece che come al solito al passato, è insieme il meno «kinghiano» e il più personale nel lunghissimo elenco di romanzi del prolifico scrittore del Maine. L’horror è ridotto a una citazione dedicata all’Overlook Hotel di Shining, appena poche righe, quasi solo la firma in calce al quadro. Se proprio si volesse inquadrare questo libro in un genere specifico sarebbe casomai il noir, nel suo frequentatissimo sotto genere «ultimo contratto» o «ultimo colpo».
Ma sarebbe anche questa una definizione tirata per i capelli: Billy Summers è molto di più. È un libro sull’amore, sulla morte, sulla solitudine, sulla letteratura, sulla scrittura.

IL MAESTRO del realismo travestito da narrativa fantastica stavolta mette da parte sia la sostanza realistica che la maschera fantasiosa. Fatte salve alcune note periferiche, nelle quali sbrana il sistema mediatico americano ma che sembrano scritte guardando sconsolato la tv italiana, King stavolta non si preoccupa di descrivere la realtà dell’America, gli orrori della sua quotidianeità. Tenta l’azzardo di un romanzo di personaggi, anzi di un solo personaggio: una storia a modo suo intimista, nella quale succede poco, senza colpi di scena almeno sin quasi alla fine, senza funambolismi o clamorosi imprevisti.
È prova definitiva della maestria di King il fatto che costringa il lettore a non staccarsi un secondo dal libro, mantenendolo in uno stato di tensione che non ha nulla da invidiare a Hitchcock, senza ricorrere ad alcun artificio, in un racconto che disegna soprattutto stati d’animo e percorsi interiori.
Prima di uccidere per soldi Billy era un cecchino di serie A in Iraq, proprio come l’American Sniper di Clint Eastwood. Aveva già alle spalle un’infanzia tragica e violenta: Falluja completa l’opera. Ma Billy, a modo suo, è anche una brava persona, con un’etica rigida e un codice morale inflessibile. Uccide solo persone cattive ma è onesto abbastanza da sapere che ciò non lo salva dall’essere solo un po’ diverso, appena lievemente migliore dei «cattivi» che fa fuori a pagamento. L’ultimo contratto che gli viene offerto prevede un saldo milionario: troppo per rifiutare il lavoretto, troppo anche per non capire che dev’esserci sotto qualcosa di molto losco e molto pericoloso.

DOVREBBE ESSERE un’ammazzatina facile però non rapida. Per arrivare a mèta il cecchino dovrà soggiornare a lungo in un paesetto, fingendo di essere quello che sarebbe potuto essere davvero in un universo parallelo. Un buon vicino di casa, amichevole, affettuoso con i bambini, socievole con quelli che lavorano nello stesso palazzo in cui avrà un ufficetto: camera con vista opportunamente in traiettoria perfetta per centrare, quando sarà il momento, il bersaglio umano. Un uomo della comunità. Ci vuole un lavoro per giustificare la lunga permanenza nel paese. La trovata di chi commissiona il mortale incarico è astuta: il sicario fingerà di essere uno scrittore, rifugiatosi nell’immensa provincia americana per sfuggire alle tentazioni dispersive dell’alcol e della mondanità.

BILLY DEVE COSÌ adeguarsi all’identità fittizia ideata dai suoi «datori di lavoro» e un’altra identità, segretissima, la ha creata lui stesso, ignota a tutti perché fidarsi è bene ma essere prudenti è meglio.
Ma anche il «vero» Billy Summers è solo una maschera. Il tiratore scelto di limitata intelligenza, rozzo e ignorante, incapace di andare oltre la lettura dei fumetti, cela un’intelligenza lucida, una cultura sofisticata, una passione ben coltivata per le lettere.
Quando tutti lo pensano immerso nei comics sta in realtà discutendo con se stesso sulle somiglianze e le differenze fra Thomas Hardy e il primo Zola, quello di Thérèse Raquin. Per un lettore come lui, senza niente da fare per mesi, è quasi inevitabile prendere sul serio la parte che deve recitare, provare davvero a scrivere.

SUMMERS SCRIVE, tenta di essere scrittore pur convinto che nessuno lo leggerà mai. King, come avrebbe fatto Balzac, non si limita però a informarne il lettore. Scrive anche il libro di Billy, lo trasforma in un romanzo nel romanzo, cambia stile, intreccia il frenetico racconto autobiografico del killer, l’inferno dell’infanzia e quello di Falluja, l’impatto della morte violenta data e ricevuta, con i tempi molto più lenti, quasi da ballata, di quello che dovrebbe essere per Billy Summers l’ultimo omicidio.
Stephen King aveva già descritto e analizzato intellettualmente cosa significhi scrivere nel celebrato saggio On Writing. Qui svela l’altra faccia del suo mestiere, quella emotiva e passionale, l’urgenza di trasferire in parole emozioni ed esperienze, la sospensione della realtà, la sua sostituzione con una dimensione diversa che finisce poi per incidere e trasformare anche quella quotidiana. In nessuno dei molti romanzi e saggi dedicati all’esperienza di chi scrive King era andato così vicino alla confessione, al chiamare direttamente in causa se stesso.

IL TEMPO DI BILLY come persona normale, prato tagliato alla perfezione, barbecue con i vicini, bambini che parlano al suo cuore, dura appena qualche mese. Poi la storia sterza, cambia passo ma con piena fluidità, senza strappi o sbalzi. Diventa un romanzo on the road. Diventa una storia d’amore, anche se del tutto anticonvenzionale. Diventa una riflessione sulle devastazioni che la violenza esercitata e subìta provoca nell’animo. L’assassino incontra una vittima, una ragazza che ha meno della metà dei suoi anni e che ha appena conosciuto la violenza nella maniera più brutale e dolorosa.
All’inizio la salva per salvare se stesso, poi le resta vicino per salvare lei non dai pericoli esterni ma dal veleno che rischia di corroderla dall’interno, come è successo a lui. Alice, ragazza deliziosa, sarà l’unica a conoscere e amare il vero Billy Summers per quello che è, senza corazze e maschere, senza finzioni.

A GUIDARE e a orientare, a registrare e indirizzare l’evoluzione del protagonista è sempre la scrittura, la scoperta della potenza creativa, della possibilità di cambiare il mondo e la realtà, di trasferirsi in una realtà parallela e di farla essere vera pur sapendo che il mondo tornerà poi a essere quello che è e tuttavia riuscendo a tenere in equilibrio non realtà e finzione ma due distinte realtà a modo loro altrettanto concrete.
Stephen King descrive quell’esperienza dal punto di vista di chi crea, e non c’è dubbio che stia parlando non solo di Billy Summers, assassino a pagamento, vittima e carnefice ma anche dell’autore grafomane che in mezzo secolo ha pubblicato 63 romanzi e oltre 200 racconti, incapace di smettere anche dopo aver annunciato la solenne decisione di non scrivere più: di se stesso. Ma l’esperienza del lettore non è molto diversa. In fondo Billy, il personaggio più completo e dotato di spessore creato da King, prima che scrittore è stato e rimane un grande lettore.