Un ragazzo di 21 anni si toglie la vita gettandosi dall’undicesimo piano di un palazzo romano lasciando una lettera dove parla della sua omosessualità, degli omofobi che «devono interrogare la loro coscienza» e del suo non «stare bene» in un mondo dove omofobia e clericofascismo diffuso ancora la fanno da padroni in una larga fetta della società. Diventa impossibile non sentirsi pienamente dentro l’orrore di una giovane vita spezzata da quell’omofobia che si respira nell’aria come le poveri sottili dell’inquinamento.

Non te ne accorgi ma pian piano ti entrano dentro e ti corrodono fino a ucciderti. Forse era capitato questo a Simone, che pure mostra nel suo gesto estremo di essere consapevole che non dovremmo essere in una dittatura ma che siamo invece di fronte a un carcere interiore dove regna la solitudine, l’incapacità/impossibilità di «dirlo» alla famiglia. Un’incapacità insuperabile persino nella città dei pride da un milione di persone, delle linee telefoniche dedicate, delle mille associazioni, delle infinite possibilità d’incontro, delle istituzioni amiche come il sindaco Marino e il governatore Zingaretti entrambi da sempre in prima fila sui diritti civili, della città del cinema, della cultura, della storia millenaria dove persino certi Papi erano gay. Perché proprio a Roma prima gli omocidi (centinaia di omosessuali ammazzati tra gli anni ’70 e il 2000) e poi dei suicidi (ben 3 in un anno, per parlare solo di quelli dichiarati).
È una domanda che si fa chi come me si batte da 30 anni per cambiare il mondo, la mentalità, il modo di pensare e di essere delle persone. Perché se è vero, come ci dice la bella ricerca dell’Istat, che in Italia ormai ci sono un milione di persone lgbt visibili e dichiarate (ed è questa la misura del grandissimo cambiamento imposto dalle lotte per le libertà civili) è anche vero che resistono sacche di odio feroce e di incomunicabilità dentro la scuola e la famiglia. Nella scuola ci sono genitori che minacciano di ritirare i figli se si osa parlare di sessualità, nella famiglia l’onere della «dichiarazione» spetta sempre al figlio gay o alla ragazza lesbica per lo più spaventati dalla smentita delle aspettative, dalla delusione e dalla possibile reazione negativa dei genitori stessi, al timore di gettare discredito sulla famiglia. Ecco perché al di la delle frasi di circostanza o del cordoglio, magari anche sincero, della politica sul tragico gesto di Simone dobbiamo interrogarci se non sia il caso di rovesciare radicalmente la strategia di contrasto all’omofobia, e farlo partendo proprio dal punto più delicato, dal luogo più difficile e più complesso del disvelamento come quello degli affetti familiari.
Sono le famiglie che devono fare preventivamente coming out, è lo Stato che deve dare l’esempio approvando una buona legge e dimostrando una volta per tutte che si schiera contro i razzisti, è la scuola che deve dire no ai bulli, sono i genitori, magari aiutati dalle associazioni lgbt, e da un Governo che dovrebbe fare finalmente il suo mestiere nella lotta alle discriminazioni, che devono dire ai loro figli che saranno accettati qualunque sia la loro identità così impareranno fin da subito a rispettare la diversità, che siano omo o eterosessuali. Dirlo prima e subito.
C’è una fatica immensa in milioni di adolescenti nel trovare le parole per dirlo, perché la sessuofobia è ancora intatta, perché la misoginia non è sconfitta, perché un maschilismo idiota continua a dominare le curve degli stadi, il branco famelico e certi politici che passano la loro vita a insolentire quella degli altri. In Senato è arrivata un testo sbagliato perché anziché definire una volta per tutte l’omofobia come crimine d’odio si è voluto cedere alla propaganda dei Giovanardi e dei Sacconi che strillano sul presunto vulnus alla «libertà di opinione» che nella loro testa significa poter legalmente dire che gli omosessuali sono malati o «gravemente depravati», come si è letto nell’orrido volantino del Meeting di Cl. Ne è uscito un mostriciattolo che legittima l’omofobia purché si compia all’interno di gruppi, organizzazioni, associazioni, partiti, ossia dappertutto. A noi rimane il lascito di questo ragazzo che ha rinunciato alla vita, al futuro e all’amore.
* Presidente Gaynet Italia