Le dimissioni del ministro degli Interni, Gérard Collomb, sono state accettate nella notte tra martedì e mercoledì, dopo giorni di confusione, tra annunci di abbandono e rifiuti del presidente. Emmanuel Macron, ieri, ha dovuto precisare: «non c’è una crisi politica». Il portavoce del governo, Benjamin Grivaux, ha insistito: «Non è una crisi politica, lo stato funziona». Tante scuse rivelano che le dimissioni di Collomb sono un colpo molto duro per Macron e il governo di Edouard Philippe. Arrivano dopo quelle, altrettanto clamorose, di Nicolas Hulot al ministero dell’Ecologia, a fine agosto. I tre “ministri di stato” di Macron si sono tutti dimessi: François Bayrou più di un anno fa dopo poche settimane alla Giustizia, poi Hulot e Collomb, in questo catastrofico rientro dopo le vacanze. Bayrou il centrista, Hulot l’ecologista e Collomb il socialista rappresentavano tre pilastri su cui il “nuovo mondo” di Macron si era basato. Li ha persi tutti. Il presidente mostra di essere solo, la “società civile” entrata in politica mostra tutta la sua fragilità.

CON HOLLANDE, c’era la “fronda” a minare il potere del presidente. Con Macron, ci sono i disertori, che abbandonano e non rispettano neppure la forma (Collomb ha annunciato la sua decisione definitiva con un’intervista on line al Figaro martedì, come Hulot l’aveva resa nota alla radio FranceInter, entrambi senza avvertire né presidente né primo ministro).

Il successore di Collomb sarà conosciuto solo nei prossimi giorni, da ieri gli Interni sono gestiti direttamente da Philippe (ci potrebbe anche essere un rimpasto più ampio). Molti nomi circolano e la dicono lunga sulle difficoltà di Macron, senza un vero partito alle spalle. Jean-Yves Le Drian, ora ministro degli Esteri, che viene dal Ps, è uno dei pochi punti solidi del governo. Christophe Castaner è un fedelissimo (ex Ps), ma oltre a essere ministro delle Relazioni con il parlamento è alla testa di En Marche. Poi ci sono dei nomi che vengono dalla destra: Gérald Darmanin, oggi ministro del Bilancio, addirittura Frédéric Péchenard, ex direttore della polizia e deputato Républicain (fedele di Sarkozy). In corsa l’ex direttore del Raid, Jean-Michel Fauvergue (deputato En Marche) e Denis Favier, ex del Gign (unità d’élite della Gendarmerie). Circola anche il nome di François Molins, procuratore di Parigi e personalità molto nota nella lotta al terrorismo.

PER QUANTO STRANO potesse sembrare, il vecchio socialista di destra Collomb fino a prima dell’estate era considerato un pilastro del “nuovo mondo” di Macron, si presentava come un “padre” per il giovane presidente, aveva persino versato qualche lacrima nel momento dell’insediamento. Aveva portato le sue reti di relazioni, la cauzione di un politico di lungo corso (ha 71 anni), ben radicato in provincia (torna sindaco di Lione, dove è al terzo mandato e la carica gli è stata tenuta al caldo da un suo sottoposto, per ripresentarsi poi alle municipali del 2020).

Ma le relazioni tra Macron e Collomb si sono guastate con il caso Benalla. Il ministro, interrogato dalla commissione di inchiesta del Senato, ha dichiarato di non sapere nulla dell’attività della guardia del corpo ufficiosa di Macron, filmato travestito da poliziotto mentre aggrediva dei manifestanti il 1° maggio scorso. Collomb aveva criticato l’hubris di Macron. Lascia in eredità la legge asilo e immigrazione, la più reazionaria mai votata in Francia su questi temi.

Aveva annunciato l’intenzione di ripresentarsi a Lione il 18 settembre scorso, avvertendo Macron che si sarebbe dimesso «dopo le elezioni europee». Macron avrebbe dovuto farlo dimettere in quel momento, dice l’opposizione, per evitare un «ministro dimezzato» in un’epoca di rischi terroristici. Ma il presidente ha esitato e Collomb ha imposto la sua scelta, sfidando Macron. Non ha neppure aspettato qualche ora, per incassare il successo, ieri all’alba, con l’arrivo della notizia dell’arresto del gangster più ricercato di Francia, Redoine Faïd, che era clamorosamente scappato dal carcere 3 mesi fa.

Ieri, solo il vecchio saggio Jacques Attali, un altro “padre” di Macron, ha visto nelle dimissioni di Collomb «una buona notizia per la Francia». Per l’opposizione, è il segno di una presidenza già arrivata a fine regno dopo un anno e mezzo di potere.