Non sono più amici, come ha decretato Di Maio: «D’ora in poi chiamiamoci con nome e cognome». Prima però dovrebbero salutarsi. Invece i due vice premier, arrivati nel capannone che ospita la cerimonia di commemorazione delle vittime del ponte Morandi ognuno per conto suo – la lite di governo moltiplica i voli di stato -, si sfiorano ma si ignorano. Il cerimoniale immaginava di aver trovato la soluzione all’emergenza diplomatica, mettendo a sedere il ministro tecnico Moavero in mezzo tra Salvini e Di Maio, in prima fila. Per il resto una complicata combinazione di seggiole era riuscita a evitare ogni contatto tra ministri di Lega e 5 Stelle (una decina in tutto); unico punto di frizione quello tra la ministra Stefani e il ministro Toninelli costretti spalla a spalla ma con lo schermo dei rispettivi riccioli a impedire gli sguardi.

E INVECE MOAVERO non è arrivato, mancando l’occasione storica di dare un suo contributo al governo. Così, dopo un quarto d’ora di imbarazzo, è stato il sindaco di Genova a sacrificarsi: rapido cambio di cartellino sulla sedia, spazio tra Salvini e Di Maio occupato e fine del ridicolo teatrino di sguardi eccentrici e torcicolli che stonava con il composto dolore della giornata. I due non vedevano palesemente l’ora di mettersi in macchina, ed eccoli infatti pochi minuti dopo la fine della messa e dei discorsi tornare più sciolti, più disinvolti. Ciascuno con la sua diretta Facebook ad accusare «qualcuno» di bloccare le grandi opere, «qualcuno» di tramare per i Benetton.

LITIGANO PESANTEMENTE, litigano al riparo dei social, ma in fondo litigavano allo stesso modo anche quando giuravano che sarebbero rimasti assieme dieci anni, per cui è ridicola ma non inconcepibile l’ipotesi del ministro Centinaio che Lega e 5 Stelle potrebbero alla fine tornare assieme. Del resto vale tutto, Salvini che annuncia spavaldo che il 20 agosto al senato voterà la sfiducia a Conte, quando sa benissimo che la sua mozione è stata rinviata e si discuteranno le comunicazioni del presidente del Consiglio. La Lega che insiste a sostenere la fattibilità del folle piano sulle riforme costituzionali – approvare il taglio dei parlamentari e poi votare senza applicarlo – impossibile e impraticabile. I 5S che replicano la parte dei tagliatori di poltrone avendo votato il calendario che accantona la legge. Conte che a Genova arriva ieratico nella parte della riserva della Repubblica, sta mezz’ora a stringere le mani a tutti per ostentare una popolarità di risulta – agguanta volontari, famigliari, passanti, giornalisti, saluta persino Salvini – e poi è costretto a scrivere una letterina al suo ministro dell’interno, al quale ha consegnato ogni potere, per pregarlo di non accanirsi troppo sui migranti.

È POSSIBILE TUTTO in questi tempi supplementari gialloverdi, in cui un governo che un anno fa aveva promesso di strappare ad horas le concessioni ad Autostrade per l’Italia e stava invece chiedendo alla società dei Benetton di prendersi pure Alitalia, torna a Genova con due linee e nessuna possibilità di perseguirne alcuna. Per Salvini bisogna far costruire ad Autostrade anche la Gronda, per Di Maio la revoca delle concessioni era praticamente fatta non fosse stato per il tradimento della Lega. E poi c’è Toninelli che ha una spiegazione diversa, probabilmente definitiva: «Mi sono messo contro l’intero sistema politico, mediatico, affaristico italiano e per questo hanno cercato in ogni modo di screditarmi, di descrivermi come non sono».

Di più imbarazzante forse c’è solo il momento in cui il cardinale Bagnasco, terminata una predica sul valore dell’unità, arriva al punto in cui la liturgia prevede lo scambio di un segno di pace. Di Maio ci aveva evidentemente pensato e scatta subito a sinistra, chissà, Salvini conseguentemente a destra e così incappa nei ministri Costa e Tria. Dallo sguardo che fa non gli appaiono come inviati dalla provvidenza, ma Genova richiede anche questo sacrificio e le mani scattano rapide e timide. Meglio, infinitamente meglio la stanza degli specchi, l’accogliente trincea dei social. Lì Salvini può tornare a denunciare la congiura del «partito delle poltrone», avendo però deciso che non gli conviene mollare la sua al Viminale. Se ieri la sua campagna elettorale a carico del contribuente era concentrata sui migranti, oggi a Ferragosto si travestirà da impegno anticamorra. Di Maio su Facebook può spiegare che a questo punto revocare la concessione ad Atlantia «tocca alla politica», essendosi lui evidentemente occupato di altro negli ultimi quattordici mesi.

DA GENOVA MATTARELLA torna al riposo della Maddalena, come a rimarcare che fino a quando non si esprimeranno i partiti in parlamento, il 20 agosto, non c’è alcuna accelerazione possibile. Ed è allora la solitudine del ministro dell’interno a stagliarsi sul fondo della giornata di commemorazione. La sua unica spalla è quella del governatore Toti, che può offrigli però un piatto di trenette al pesto e non più di sei o sette voti in parlamento, provocando in cambio i sospetti di Forza Italia. Anche Giorgetti, il consigliere più accorto, spiega che i tempi della crisi «li ha decisi Salvini da solo, come fa un capo». E mentre il giorno finisce, già che era in Liguria il ministro si fa scortare a levante, per un altro comizio. Di nuovo a La Spezia i fischi sono più degli applausi.