E pensare che doveva correggere la famigerata norma sulla frode fiscale che a fine anno con quella «soglia parametrata» al 3% di evasione tollerata, sembrava nascondere l’ennesimo favore a Berlusconi.

La discussione alla camera della Delega fiscale sta invece alimentando nuove polemiche, sia per la confusione delle norme contenute nei decreti, sia per il sospetto, neanche troppo velato, che tutto questo possa trasformarsi ancora una volta nell’ennesimo regalo ai grandi evasori.

I passaggi più criticati riguardano soprattutto la definizione delle operazioni simulate e l’introduzione come requisito per avere la fattispecie della dichiarazione fraudolenta, di una fantomatica «idoneità a indurre in errore l’amministrazione finanziaria», con il rischio paradossale che se l’evasore viene scoperto e perseguito allora vuol dire che la sua presunta operazione fraudolenta non era idonea a ingannare il fisco.

Quindi, se viene beccato si salva automaticamente. Paradossale, ma vero.

Timori confermati anche da Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati che spiega al manifesto: «C’è il rischio che una volta che l’amministrazione finanziaria non sia stata indotta in errore perché dimostratasi capace di rilevare la frode, si possa invocare questa circostanza proprio come prova dell’inidoneità ad indurre in errore l’amministrazione stessa».

Infatti, il problema, sempre secondo Sabelli, è che «l’attuale norma già prevede un riferimento all’idoneità ad ostacolare l’accertamento», aggiungere un ulteriore elemento soggettivo rischierebbe di «rimettere in discussione tutta la giurisprudenza che si è andata formando intorno a questo articolo».

Anche sul tema delle soglie di punibilità l’Anm, ma non solo lei, esprime le sue critiche. Riconoscendo che si tratta di una materia che rientra nelle prerogative del legislatore, Sabelli ci tiene a sottolineare che «in alcuni casi l’innalzamento di queste soglie è stato molto forte arrivando anche a triplicarle».

Pur ammettendo di non essere contrario a priori ad alcuni casi di depenalizzazione, ricorda che si sta comunque parlando di comportamenti illeciti: «Se alla delimitazione dell’intervento penale corrisponde un forte intervento di controllo e sanzionatorio in sede fiscale, allora – entro certi limiti – può essere una scelta condivisibile».

E’ una questione di equilibrio dell’intero sistema che si raggiunge, come osserva Sabelli se «si decriminalizzano le fasce più basse di evasione, rafforzando allo stesso tempo, però, gli interventi sanzionatori e penali sugli illeciti di fascia più alta». Ma ad oggi questo avviene solo nei casi di omessa dichiarazione dei redditi, per la quale è vero che c’è stato un innalzamento delle pene, ma è altrettanto vero che queste erano davvero molto basse.

Critiche molto dure arrivano anche dalle opposizioni, soprattutto dal Movimento 5 Stelle e da Sel. I pentastellati, in una nota, temono «sia per la depenalizzazione dell’omessa dichiarazione, sia per il rischio che possa essere neutralizzato anche l’istituto della confisca».

M5S punta il dito anche contro la modifica all’art. 4 del decreto legislativo 74/2000 che punisce la dichiarazione infedele, in cui è stata aggiunta tutta una parte che secondo il Movimento «è molto simile alla malfatta norma sul falso in bilancio», tanto che molti suoi esponenti si domandano se non «sia questo il vero ’aiutino’ a Berlusconi».

Intanto alla Camera pochi giorni fa è stato approvato in via definitiva il decreto che depenalizza completamente il reato di elusione fiscale da adesso si chiamerà abuso del diritto.

Un intervento grave, sottolinea Giovanni Paglia, deputato di Sel e membro della Commissione Finanze della Camera, «se pensiamo che da sempre l’elusione fiscale viene considerata l’evasione fiscale dei ricchi».

Le misure messe in campo, secondo Paglia, nascondono un approccio studiato per «depotenziare fortemente la lotta all’evasione fiscale, soprattutto verso l’alto e attraverso norme che da un punto di vista formale sarebbero anche ragionevoli, ma che applicate in un contesto come quello italiano rischiano di dare carta bianca alle imprese più grandi».

«La verità – sempre secondo Paglia – è che il governo è molto più liberista della destra. Culturalmente sta venendo avanti un’idea di business completamente libero da ogni ostacolo, cavillo, difficoltà normativa e fiscale. Tutti i decreti fiscali vanno in questa direzione. Oggi, più un soggetto imprenditoriale è grande, più è difficile fargli pagare le tasse».