Il 21 maggio al Tribunale di Trapani si terrà l’udienza preliminare nel procedimento penale avviato nei confronti di 21 persone, la maggior parte delle quali fanno parte di 3 organizzazioni attive nel soccorso in mare: fra loro l’equipaggio della nave tedesca Iuventa e quelli delle navi utilizzate fino al 2017 da Msf e Save the Children. Esprimiamo la nostra vicinanza alle persone e alle organizzazioni colpite.

Le indagini condotte dalla Procura di Trapani, con l’impiego di agenti sotto copertura e l’utilizzo massiccio e sistematico di intercettazioni effettuate anche nei confronti di avvocati e giornalisti, rappresentano uno degli attacchi a oggi più significativi nei confronti della solidarietà alle persone migranti. Questo procedimento ha una precisa dimensione politica e determina effetti estremamente rilevanti per le organizzazioni soccorritrici. Il suo avvio è avvenuto in concomitanza con la campagna contro le Ong, che da angeli in pochi mesi sono diventati tassisti del mare, proprio quando il procuratore di Catania Zuccaro sosteneva di essere a conoscenza di presunti rapporti fra trafficanti libici e Ong, affermazione che lo stesso Zuccaro ha successivamente smentito in parlamento. In quella fase a contribuire pesantemente alla criminalizzazione della solidarietà e delle Ong è stato il «codice di condotta», voluto dall’allora Ministro Minniti, che allo stesso tempo stringeva rapporti con le milizie libiche, con l’obiettivo dichiarato di bloccare la rotta del Mediterraneo Centrale.

Il sistematico avvio di indagini nei confronti degli equipaggi delle navi soccorritrici ha inciso gravemente sulle loro attività ma nel caso dell’organizzazione tedesca gli effetti del procedimento sono stati particolarmente pesanti: la nave Iuventa, che nel suo anno di attività ha soccorso più di 14mila persone, si trova ancora oggi sotto sequestro nel porto di Trapani e è ormai irrimediabilmente inutilizzabile. Mentre proseguono i naufragi e aumentano le intercettazioni in mare da parte delle autorità libiche, in Italia, proprio a partire dalle indagini di Trapani, sono stati numerosissimi i procedimenti avviati nei confronti delle organizzazioni della società civile attive nel soccorso in mare e anche di coloro che svolgono attività solidali a terra, ai confini e nell’ambito dell’accoglienza. Questi procedimenti, come noto, riguardano l’applicazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione che punisce il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: finora si sono quasi sempre conclusi con l’archiviazione o l’assoluzione degli imputati in ragione del riconoscimento della sussistenza delle cause di giustificazione dell’adempimento di un dovere (quello del soccorso in mare) o dello stato di necessità. Anche la Corte di Cassazione, nel caso di Carola Rackete, ha chiarito che chi soccorre i migranti nel Mediterraneo consentendone l’arrivo in sicurezza in Italia lo fa nell’adempimento dell’obbligo internazionale di assicurare lo sbarco dei naufraghi in un luogo «sicuro», secondo quanto previsto dal diritto del mare e dalle convenzioni a tutela dei diritti fondamentali.

È però importante ricordare che nella «guerra all’immigrazione» condotta dagli Stati europei, e in particolare dall’Italia, a essere vittime della criminalizzazione sono spesso i migranti stessi, per giunta con minori garanzie e minor supporto. È il caso dei processi sommari agli «scafisti». Un altro esempio simile, fortunatamente con un lieto fine, è il processo «Agaish» contro quattro rifugiati eritrei. Condannati dalla Corte d’Appello di Roma per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare per aver aiutato dei connazionali a muoversi verso altre città italiane sono stati assolti solo ieri dalla Corte di Cassazione dopo un processo durato sei anni che ha comportato anche 18 mesi di custodia cautelare in carcere. Le loro condotte erano molto simili a quelle contestate agli attivisti dell’associazione Baobab Experience, sottoposti a un lungo processo conclusosi di recente con l’assoluzione.

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La guerra in Ucraina e le iniziative sviluppate per favorire il transito, l’accoglienza e il conseguimento degli status giuridici in favore degli ucraini in fuga dal paese sono un’occasione per ripensare le categorie giuridiche, politiche e sociali con le quali interpretiamo il movimento delle persone attraverso i confini. L’ondata di solidarietà – istituzionale e informale – che ha accompagnato l’arrivo degli ucraini è ampia e diffusa, e chi li accoglie o aiuta ad arrivare in Europa sono giustamente elogiati. Perché gli stessi gesti e le stesse azioni sono invece considerate criminali quando avvengono nel Mediterraneo o nei confronti di chi fugge da altri contesti?