a riduzione del finanziamento del diritto allo studio voluta dalla giunta regionale piemontese è suscettibile di acquisire più ampio rilievo se assunta come caso sintomatico dei poteri esercitabili dall’autorità politica in ordine all’attuazione dei diritti costituzionali (quale il diritto allo studio incontestabilmente è, per dettato dell’articolo 34, comma 3, della Costituzione).
In termini teorici, il punto è il seguente: a fronte della previsione di un diritto costituzionale, quali sono i margini entro cui può esercitarsi la discrezionalità politica? O, per usare un’espressione di Luigi Ferrajoli, qual è l’ambito del politicamente decidibile?

Per rispondere dobbiamo considerare che, in un contesto democratico, le costituzioni sono, sì, documenti giuridici (i più «alti» documenti giuridici dell’ordinamento), ma sono altresì documenti politici. Vale a dire, atti attraverso cui si pone fine al – reale o potenziale che sia – conflitto civile, per dar vita a un regime nel quale le varie parti politico-sociali, potenzialmente nemiche, si riconoscono reciprocamente come interlocutrici legittime del confronto politico. Si trasformano, cioè, da nemiche in avversarie. In questo senso – afferma Hans Kelsen -, le costituzioni sono configurabili come armistizi, a partire dai quali i sottoscrittori scommettono di riuscire a costruire forme di convivenza stabili: in cui il conflitto sociale – in sé ineliminabile e positivo – è regolato attraverso regole procedurali che ne impediscono la deflagrazione in guerra civile.

Le procedure, tuttavia, non sono di per sé sufficienti. Una legge approvata nel pieno rispetto delle regole formali potrebbe avere un contenuto sostanziale rivolto all’annientamento di istanze politiche ritenute essenziali da una controparte. Ecco perché al cuore dell’armistizio costituzionale si stagliano i diritti, vale a dire la trasposizione giuridica dei valori – culturali, ideologici, etici, religiosi, tradizionali, ecc. – che compongono le contrapposte visioni del mondo di cui sono portatrici le parti che sottoscrivono l’armistizio stesso. Attraverso la giuridicizzazione, i valori perdono ogni pretesa di assolutezza, relativizzandosi in componenti di una più ampia e complessiva visione. Una buona costituzione – spiega John Rawls – è quella che riesce a individuare l’essenziale che accomuna le diverse visioni del mondo presenti nella società: quella, cioè, che riesce a creare «consenso per sovrapposizione» su ciò che il potere, chiunque vincerà le elezioni politiche, deve e non deve comunque fare. Prevedere il diritto alla salute implica, per esempio, che si dovranno comunque costruire gli ospedali. Al contrario, prevedere il divieto della pena di morte implica che non si potrà comunque introdurre nell’ordinamento la pena capitale.

Quel che residua tra il doveroso e il vietato è l’ambito del possibile, del decidibile, del dipendente dalla discrezionalità politica. Si tratta di un ambito che rimane molto ampio: il legislatore è pur sempre libero di decidere la priorità e l’intensità dell’attuazione dei diritti costituzionali. Quel che non può fare – è bene ripeterlo – è ignorare le prescrizioni che dai diritti derivano: se lo fa, è compito della giustizia costituzionale ripristinare il rispetto della costituzione annullando la legge contraria.

Se a ciò si aggiunge – con Stephen Holmes e Cass Sunstein – che tutti i diritti, anche quelli di libertà, costano, si comprende facilmente come quanto sin qui detto valga anche, e soprattutto, per la legislazione di bilancio: finanziare o non finanziare l’attuazione dei diritti non è scelta rimessa alla piena discrezionalità del legislatore, ma anch’essa vincolata al rispetto della costituzione. La politica potrà, anche in questo caso, scegliere priorità e intensità del finanziamento, ma a condizione che tale scelta non si traduca in un sottofinanziamento tale da provocare l’inattuazione di fatto di uno o più diritti. Finanziare almeno le prestazioni che costituiscono il nucleo essenziale di ciascun diritto costituzionale, in modo tale che nessuno dei legittimati si ritrovi nell’impossibilità di godere del diritto stesso, è costituzionalmente obbligatorio, non politicamente discrezionale.
In questo quadro, il disinteresse – se non l’avversione – per la tutela dei più deboli, propria della destra, non può pretendere di trasformarsi in azione politica: qualsiasi decisione della giunta regionale piemontese dovesse impedire il godimento del diritto allo studio, anche a uno soltanto degli aventi diritto, provocherebbe un’inaccettabile lesione del dettato costituzionale.