«Municipalities in Transition» (MiT) è una metodologia realizzata dal movimento per la Transizione che serve ad aiutare le comunità locali a diventare più sostenibili, resilienti e felici.

Sperimentata in sei diverse città-pilota del mondo negli ultimi due anni, oggi è pronta ad essere messa in pratica. In questa seconda versione è stata scelta la Sociocrazia 3.0 – già consigliata nella prima – come modello di governance ufficiale. Ne abbiamo parlato con Cristiano Bottone, coordinatore dell’iniziativa.

Come mai nell’esperimento di MIT è stata scelta la Sociocrazia 3.0 come modello di governance?

Abbiamo studiato i luoghi nel mondo dove si è fatto di più, e concretamente, per muoversi verso la sostenibilità, l’equità e l’equilibrio tra economia e risorse. In tutti il modello di governance che ha sostenuto il processo attuato risulta fondamentale. Le costanti sono: qualità dei dati alla base del processo, fine dei conflitti, condivisione delle risorse, integrazione dei diversi punti di vista, pragmatismo, rinuncia agli approcci preconcetti da parte di tutti gli attori. La Sociocrazia 3.0 sembra inventata per riprodurre e ottenere tutte queste condizioni. Fino a quando non vedremo emergere qualcosa di ancora meglio, questo ci è sembra lo strumento più indicato.

Quali risultati pratici ha portato questa scelta nella fase pilota?

Non tutti gli esperimenti Pilota usavano questo metodo, è risultato abbastanza evidente però che usare S3 aggiunge una componente fondamentale al sistema MiT, ne aumenta la qualità intrinseca. Infatti nella versione definitiva della nostra metodologia S3 non è più un’opzione, ma un elemento completamente integrato. Con S3 si riesce effettivamente a far dialogare efficacemente parti normalmente in conflitto, a far crescere sensibilmente la qualità delle decisioni prese, a ridurre rischi e probabilità di errore.

Nella tua esperienza come si comportano persone abituate a prendere decisioni in maniera tradizionale quando entrano in contatto con il metodo della S3?

Questo è uno degli aspetti delicati di questo metodo. È molto diverso dai percorsi che facciamo normalmente per arrivare a prendere decisioni. All’inizio genera diffidenza, senso di smarrimento, l’idea che seguendo le sue regole tutto rallenti e venga appesantito. Poi si comincia a capirne gli effetti e di solito scattano due tipi di reazioni diverse: chi non vuole «cambiare gioco» scappa, perché capisce che vengono meno le possibilità di «dominare» o di muoversi sotto traccia, dinamiche tipiche dei sistemi a maggioranza rappresentativa. Chi è invece è interessato a senso e qualità del processo si entusiasma e sarà poi difficile convincerlo a tornare indietro.