La società iraniana in ogni inquadratura di Dariush Mehrjui
Dariush Mehrjui – foto Ansa
Visioni

La società iraniana in ogni inquadratura di Dariush Mehrjui

Cinema La carriera del grande regista che lottava contro la censura, assassinato insieme alla moglie e sceneggiatrice Vahideh Mohammadifa
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 17 ottobre 2023
Una scena da “The Cow” (1969)

Di recente, Vahideh Mohammadifar – moglie del cineasta iraniano Dariush Mehrjui e anche lei professionista del cinema – aveva pubblicato su delle reti sociali dei messaggi nei quali esprimeva preoccupazione per l’incolumità sua e del marito. Sabato scorso, la tragedia è accaduta.

Mohammadifar e Mehrjui sono stati trovati senza vita nella loro abitazione a Karaj, città non distante da Teheran. Accoltellati a morte, «uccisi da molteplici pugnalate alla nuca» secondo quanto detto da un ufficiale giudiziario della provincia di Alborz, di cui Karaj fa parte, e riportato dal quotidiano «The Guardian». A fare la macabra scoperta è stata la figlia Mona, invitata dai genitori a cena. Il doppio omicidio rimane per ora un mistero anche perché, sulla base di dichiarazioni della polizia che sta investigando sul caso, sulle porte della casa non sarebbero stati rilevati segni di effrazione. L’agenzia iraniana Isna aggiunge, citando fonti del commissariato, che quattro sospetti sono stati identificati e due arrestati. Potrebbero anche esserci dei mandanti dietro questo crimine. Se la moglie aveva ricevuto delle minacce, Mehrjui era un oppositore del regime, lottava contro la censura e le limitazioni dei diritti attuate dal governo e negli ultimi tempi era intervenuto protestando per le critiche contro quello che sarebbe diventato il suo ultimo film, A Minor.

Il regista sul set di The Postman (1972)

PER L’IRAN, insomma, non c’è pace e a pagare con la propria vita questa volta sono state due voci del cinema iraniano contemporaneo. Dariush Mehrjui (nato a Tehran l’8 dicembre del 1939) è stato ucciso all’età di 83 anni ed è stato uno dei più acclamati registi della nouvelle vague iraniana oltre che sceneggiatore e produttore. Appassionato di cinema fin da piccolo e «stregato» dalla visione di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, nel 1959 si trasferisce negli Stati uniti per studiare alla Ucla di Los Angeles, dove si laurea in filosofia e regia nel 1964. L’anno successivo rientra a Teheran, lavorando come giornalista e insegnante. Ma l’esordio nel cinema è imminente e con il suo secondo lungometraggio The Cow – che segue l’iniziale Diamond 33, scritto e diretto nel 1966 -, del 1969 e di cui è anche produttore, Mehrjui firma un testo fondamentale per il nuovo cinema iraniano pre-rivoluzione e un’opera che a tutt’oggi rimane una pietra miliare di questa immensa, stratificata, innovativa cinematografia. Di ambientazione rurale e neo-realista, girato in un povero villaggio (per questo inizialmente censurato dal governo dello shah Reza Pahlavi perché dava l’idea di un Iran differente da quella ufficiale, poi «liberato» dopo un anno), illuminato da un bianconero nitido dal quale si stagliano volti antichi, terra, fango, animali, case spartane, The Cow narra la storia semplice e potente nelle sue valenze politiche e simboliche di un contadino cui muore l’adorata mucca.

La filmografia di Mehrjui non segue però un’unica direzione, si avventura nei generi, si re-inventa rimanendo comunque sempre un punto di riferimento. Dopo un periodo trascorso in Francia nei primi anni Ottanta, il regista torna in Iran. Tra i suoi film più significativi ci sono The Tenants (1987), commedia satirica di grande successo commerciale; Hamoon (1990), psicodramma familiare e crisi esistenziale di un uomo nei confronti della società e della moglie, tra sogno e realtà; The Lady (1992), commedia nera per il ritratto di una famiglia iraniana della classe operaia più povera; Mom’s guest (2004), film corale dove una corte diventa set in continua trasformazione nell’attesa che, nonostante tutte le difficoltà, una sontuosa cena trovi la sua consumazione. Il film che chiude la sua carriera, interrotta in modo brutale, A Minor, storia di una ragazza che vuole suonare e di un padre che vi si oppone, risale all’anno scorso e venne ostacolato dalle autorità (il fatto fu denunciato dal regista attraverso un video).

SCENEGGIATRICE e costumista, Vahideh Mohammadifar aveva cominciato a lavorare agli albori del nuovo secolo scrivendo, dal 2000 al 2022, dieci sceneggiature per altrettanti film di Dariush Mehrjui. L’esordio avviene con la scrittura dell’episodio Dear Cousin Is Lost del magnifico trittico Tales of an Island (girato nella tradizionale isola iraniana di Kish e realizzato anche da due altri giganti del cinema iraniano, Rakhshan Bani-Etemad e Mohsen Makhmalbaf). Da segnalare, tra i titoli sceneggiati da Mohammadifar, To Stay Alive (2002), ribellione di una donna costretta a sposare un uomo molto più anziano di lei, Beloved Sky (2011), dramma dai risvolti inattesi con la superba coppia di star – al cinema e nella vita – Leila Hatami e Ali Mosaffa, e Orange Suit (2012), con il quale Mehrjui spiazza ancora raccontando il radicale cambiamento di un fotografo quando si rende conto delle mutazioni climatiche decidendo di intervenire e trasformarsi in netturbino.

Sempre per due film del marito, la commedia Good to Be Back del 2013 e il melodramma Ghosts del 2014 (penultimo film di Mehrjui), Mohammadifar si era occupata dei costumi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento