Vienna 2019, l’appuntamento Onu sulla politica globale delle droghe si avvicina a grandi passi.

Il nodo politico è e sarà quello di evitare un ritorno indietro dallo forzo – solo parzialmente riuscito ma certo un’apertura – fatto dall’Assemblea Ungass di New York nel 2016, tenere aperti tutti gli spiragli di quel dibattito (Ungass outcome document), evitare di cortocircuitare su una (ennesima) dichiarazione all’insegna della retorica della war on drugs.

Nel 2016, dopo la provocatoria approvazione del testo ufficiale senza nemmeno un minuto di discussione, era cominciata la discussione vera, sollecitata dai Paesi sudamericani che quell’assemblea (anticipata) avevano imposto: pur tra mille mediazioni, emerge da quel testo un focus su diritti umani, proporzionalità delle pene, diritto alla cura soprattutto per i gruppi più fragili, invito alla ricerca come base per le politiche.

Ma soprattutto, sotto il profilo politico, il dibattito è andato nella direzione di riconoscere la flessibilità delle Convenzioni, con ciò affermando la legittimità non solo di un approccio quale la riduzione del danno, a lungo osteggiato, ma, ben più, della possibile sperimentazione di politiche innovative, come la regolazione legale dei mercati o la depenalizzazione del consumo.

Vienna 2019, insomma, deve ripartire da New York 2016, e non dalla Vienna 2009 della guerra alla droga.

In questa direzione sta remando con forza il Civil Society Forum on Drugs (Csfd), la società civile europea che dialoga con Commissione e Gruppo orizzontale droghe dei governi membri.

Durante la sua assemblea del 27 novembre scorso, il Csfd ha approvato e poi presentato a Commissione e governi la sua carta per Vienna 2019 (on line su fuoriluogo.it).

Due punti cruciali: ripartire da Ungass, appunto, perché «non c’è alcun bisogno di negoziare una nuova Dichiarazione politica quando i punti del documento finale di Ungass sono una base solida per portare avanti il dibattito»; il Forum si dice fortemente contrario «a ogni tentativo di riproporre o estendere gli obiettivi del 2009».

E poi un necessario percorso di valutazione degli esiti della Dichiarazione e del Piano Onu del 2009: non solo rivolto al passato (quali sono stati davvero gli effetti della war on drugs?) ma anche al futuro (sono adeguati gli obiettivi, oltre che i metodi?).

E certo questa sarebbe una novità: una valutazione globale di esito e impatto delle politiche dettate dalle Convenzioni non è mai stata fatta, se non da ricerche indipendenti che ne hanno sempre denunciato gli effetti perversi.

Il Csfd chiede che la sessione di marzo 2018 della Commissione Droghe dell’Onu (Cnd) di questo discuta.

Chiede inoltre l’inclusione delle agenzie Onu, che come noto – da Oms a Unaids fino a Ohchr – sono spesso critiche sulle politiche globali sulle droghe, e l’inclusione di queste politiche nei percorsi dell’ Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che potrebbe garantire una maggiore attenzione a diritti umani e sociali.

La buona notizia è che nella sostanza la Commissione europea ha condiviso queste proposte, e già si è così espressa durante la sessione CND di novembre.

Adesso tocca anche noi, associazioni italiane, fare la nostra parte: nel 2009 il governo Berlusconi-Giovanardi ruppe il fronte europeo e si alleò con i paladini della war on drugs.

Nel 2019 non deve avvenire (la qui la documentazione su Ungass 2016 e Vienna 2019).

*delegati al Csfd, Forum Droghe e Parsec Consortium