Ha ragione da vendere Christian Raimo (Consigli, di classe, per l’estate, Il Manifesto,16/7) sulla necessità di ripristinare e ridare vigore teorico e politico al concetto di classe, così come a quello di “odio di classe”. Immagino quanti benpensanti inorridirebbero, eppure quello che solleva Raimo è un problema storico e teorico di primissima grandezza.

Nella cancellazione del concetto di classe, nell’abolizione di ogni orizzonte possibile di conflitto, si concentra un passaggio vittorioso del capitalismo sui ceti proletari del nostro tempo.

Dopo il 1989, mentre si consumava forse la più spietata vendetta di classe dell’età contemporanea, il capitale è riuscito a imporre la menzogna ideologica che la classe operaia fosse scomparsa e che quindi anche la distinzione sociale e politica tra operai e imprenditori non avesse più senso. Operazione di falsificazione della realtà sociale su cui è poi potuta prosperare la cancellazione della distinzione storica tra destra e sinistra e prendere avvio l’odierna notte in cui tutte le vacche sono nere.

C’è un episodio significativo della storia recente che illumina questo passaggio. Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo, pochi anni fa ha onestamente dichiarato: «La lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi».Ma nessuno di noi ricorda, da parte di un dirigente dei vecchi partiti ex comunisti, socialisti e socialdemocratici, l’affermazione: «La lotta di classe esiste e noi l’abbiamo persa».

Anzi, sappiamo che costoro hanno lavorato negli ultimi decenni a occultare i conflitti di classe, a porre sullo stesso piano imprenditori e lavoratori, a cancellare la figure di un qualunque avversario contro cui muovere lotta.

Uno degli esiti micidiali di tale ritirata storica, è che l’avversario di classe è stato in grado di inventare un nuovo nemico. Il capolavoro strategico compiuto dal capitale negli ultimi anni è davvero mirabile nella sua capacità diabolica. Ha messo in guerra gli sconfitti delle società industriali, i precari, i disoccupati, i lavoratori poveri, i giovani in cerca di prima occupazione, contro gli ultimi del mondo.

Mentre la vecchia socialdemocrazia non ha visto più nemici, il capitale li ha raddoppiati e messi in reciproco conflitto.

Dunque non si esce dalla grande nebbia del cosiddetto populismo, dalla cattura dei ceti popolari entro un orizzonte politico conservatore e reazionario di lotta fratricida, se non si torna alla distinzione di classe, alla visione di una società divisa in classi: naturalmente esaminate nella complessa stratificazione sociale di una società industriale matura. Raimo racchiude la moltitudine dei lavoratori che il capitalismo ha frantumato in una miriade di figure con il vecchio e attualissimo termine di proletariato, cui si può affiancare degnamente, a mio avviso, quello gramsciano di subalterni.

Ma è necessario indicare e dare un volto distinto a chi accumula ricchezza e a chi la produce con il proprio lavoro, ben sapendo che le cose non sono così semplici come al tempo di Marx. Anche se il Moro dava tanto rilievo alla classe operaia in un mondo popolato di contadini, mentre non ci sono mai stati sulla terra tanti operai quanto oggi.

Ma occorre soprattutto sapere che senza un nemico contro cui combattere, un soggetto che porta la responsabilità delle disuguaglianze, della precarietà crescente dei subalterni , della crisi catastrofica dell’ambiente, non riusciamo a dare un qualche valore alla lotta politica: l’unico motore che può cambiare e salvare il mondo. Senza dire che la rappresentazione di un mondo contrapposto fonda un principio di verità: altrimenti le ingiustizie e le disuguaglianze diventano fenomeni naturali, come il sole e la pioggia.

Se non c’è una distinzione tra un fronte amico e uno nemico, anche l’etica che orienta il comportamento umano va in fumo e la passione che alimenta la politica si spegne. Sicché il bene e il male diventano equivalenti, come la verità e le false notizie.

Questa è oggi , soprattutto in Italia, la palude civile e culturale in cui le forze dominanti ci stanno trascinando, in assenza di un fronte politico che chiami nemico il nemico.