La Slovenia ha un problema di fabbisogno energetico, è vero, e certo non è la sola. Avrebbe avuto il tempo per pensare a qualcosa di diverso ma ormai è chiaro che l’unica proposta sul tappeto resta quella nucleare: il raddoppio di una centrale che, dopo quarant’anni di attività, sarebbe dovuta essere chiusa e, invece, sarà raddoppiata. E’ la centrale nucleare di Krško, 130 chilometri da Trieste, dichiarata «sicura» ma costruita su una somma di faglie sismiche che, all’epoca della sua costruzione, non si conoscevano (vedi manifesto 1/7/2021).

La comunicazione più autorevole su Krško-2 è stata fatta da Gen-Energija, il colosso statale sloveno che, assieme alla croata Hep, controlla la centrale nucleare: Lubiana prenderà una decisione definitiva sul secondo reattore a Krško entro il 2027 ma probabilmente anche molto prima visto lo scenario difficile in cui già si dibatte il settore energetico. Come riportato dal quotidiano di Lubiana «Delo», il secondo reattore sarebbe «la soluzione più logica e azzeccata perché ridurrebbe notevolmente i prezzi dell’elettricità e soprattutto diminuirebbe la dipendenza energetica dall’estero». A Lubiana lo schieramento pro-nucleare sembra difficilmente scalfibile: istituzioni, imprese, esperti e anche il presidente della Repubblica Borut Pahor. Resta il fatto che Krško insiste su una zona ad alto rischio sismico anche se il problema sembra scomparso dalle cronache.

Continua a protestare l’Austria che adesso si trova tra due fuochi: non c’è solo Krško ai suoi confini ma anche la centrale ungherese di Paks. Dopo i passi ufficiali, le raccolte di firme e le manifestazioni, soprattutto in Carinzia e in Stiria, contro la Slovenia, adesso sono partite con forza le proteste per un problema, purtroppo del tutto simile, contro l’Ungheria. L’Agenzia federale austriaca per l’ambiente ha espresso formalmente le proprie preoccupazioni in merito alla costruzione della centrale nucleare Paks-2: i reattori sorgerebbero non lontano dai quattro reattori, funzionanti dagli anni ’80, e il progetto della nuova centrale, già autorizzato da Budapest, si trova però … su una faglia sismica attiva. Se la nuova costruzione verrà confermata, l’Ungheria potrà godere di un prestito dalla Russia di ben dieci miliardi di euro con i lavori affidati alla società statale russa Rosatom e Viktor Orban non intende recedere.
Tutto in salita ma clamorosamente sul tavolo il progetto polacco: sei nuovissime centrali nucleari ad acqua pressurizzata e l’ammodernamento delle centrali a gas sono la proposta della Polonia per uscire dalla dipendenza dal carbone (vedi manifesto 29/12/2021). D’altra parte, va ricordato che la Bulgaria ha appena sottoscritto un memorandum d’intesa con l’americana «NuScale Power» per la fornitura di reattori di nuovissima generazione e così liberarsi delle centrali sovietiche ormai obsolete (comunque funzionanti). Identiche prospettive in Repubblica Ceca e in Romania mentre la Slovacchia lavora alla modernizzazione della sua centrale a Mochovce. Una forte concorrenza, dunque, con l’industria nucleare francese che guarda proprio a Est per collocare i propri prodotti.

Se questo è il quadro, qualche scossone si sente anche in Friuli Venezia Giulia. A luglio dell’anno scorso il Consiglio regionale aveva votato a maggioranza una mozione contraria al raddoppio di Krško presentata dal consigliere Massimo Moretuzzo de «il Patto per l’Autonomia» ma, ultimamente, proprio dal consiglio regionale sono uscite voci molto più possibiliste e, anzi, qualcuno ha dichiarato esplicitamente che sarebbe nell’interesse dell’Italia, semmai, realizzare una compartecipazione con Slovenia e Croazia proprio a Krško.