Basterà per smettere di chiamarlo voto di protesta? Un Ukip quasi al 28% (11 punti in più rispetto al 2009) e con 24 seggi europei (un incremento di ben 11 eurodeputati), che relega i laburisti e i conservatori rispettivamente in seconda e terza posizione, farebbe temere di sì. Il Labour di Ed Miliband ha chiuso al 25,4%, quasi 10% in più rispetto alle europee di 5 anni, e manderà in Europa 20 deputati, 7 in più della tornata precedente. Appena sopra i tories di David Cameron, che di deputati ne perdono 7, scendendo a 19 e fermandosi poco sotto al 24%. L’Irlanda del Nord renderà noti i propri risultati oggi.

Nigel Farage, tra un’apparizione dietro al bancone di un pub e l’altra ha salutato i suoi risultati come storici, e non è certo possibile dargli torto. Innanzitutto perché l’esito elettorale del partito da lui guidato, fino a meno di cinque anni fa una combriccola di eccentrici e rubizzi little englander, ha umiliato i tre massimi partiti nazionali, due dei quali in coalizione di governo, annichilendone uno, i Lib-dem di Nick Clegg. L’unica volta che tories e Labour erano stati relegati in seconda e terza posizione fu ad opera del liberale Herbert Asquith. Ma nelle elezioni del 1924. Farage è riuscito perfino a conquistare un seggio in Scozia, dove era stato preso a parolacce e quasi aggredito solo pochi mesi fa. Ha poi ironicamente ringraziato Nick Clegg per aver accettato la fatale sfida al confronto televisivo sull’Europa che ha sancito l’inizio della slavina euroscettica.

È poi indubbio che il risultato leverà il sonno a Cameron e Miliband, e forse la carica a Clegg. Allo scatenarsi di una comprensibile fronda all’interno del partito, questi ha risposto che no, non se ne andrà. Per adesso ha il sostegno sperticato sia di Paddy Ashdown, che di Vince Cable, il business secretary. Tanta devozione a Clegg da parte delle alte cariche del partito è dovuta al fatto che dietro di lui non c’è proprio nessuno in grado di fare peggio: il partito è stato superato dai Verdi, stazionari rispetto al 2009 sotto all’8%, sta sopra allo Scottish National Party di Alex Salmond. Con il 6,87% e un solo deputato superstite degli 11 che avevano, i Lib-dem si trovano ora davanti a una specie di anno zero, vissuto, tragicamente, al governo.

Sia Cameron che Miliband sono sotto accusa per aver deliberatamente ignorato Farage e la questione europea. L’emorragia di voti conservatori scontenti è diventata una trasfusione per l’Ukip. Cameron, in perenne difficoltà sulle promesse mai mantenute fino in fondo di ridurre l’immigrazione, ha provato a rimediare in modo un po’ scomposto, accusando improvvisamente Farage, dopo mesi che non lo nominava nemmeno, di essere un «consumato tatticista» travestito da uomo della strada. È un epiteto che arriva fuori tempo massimo, ma non manca di molto il bersaglio: Farage si sta già riempiendo la bocca di «partito del popolo» e simili altre licenze dialettiche. La botta è stata incassata ma è stata dura: i tories non sono arrivati primi in nessuna regione del Paese, cosa che invece è riuscita ai laburisti, che hanno dominato in Galles. Cameron ha comunque confermato il referendum sull’Europa per il 2017.

Una funzione inconsapevolmente positiva la vittoria di Ukip ce l’ha avuta: anche se non avevano mai rappresentato un problema davvero serio, la perdita dell’unico seggio europeo di Nick Griffin, leader del razzista Bnp, non può che essere salutata con sollievo. Se è troppo comodo liquidare quello di Farage come razzismo in doppiopetto o voto di protesta, va tenuto conto che l’affluenza, appena sotto al 34%, nonostante il traino delle comunali, è stata tanto bassa da non autorizzare profetici guizzi sulle politiche dell’anno prossimo.