Quando sono scoppiate le agitazioni popolari in Siria nel 2011, la maggior parte delle persone cercava una riforma piuttosto che una rivoluzione.

La risposta brutale del governo ha non solo permesso che l’opposizione prendesse le armi e abbracciasse apertamente l’idea di un cambio di regime ma anche che riuscisse a mobilitare il sostegno popolare per i suoi piani.

In pratica dall’inizio, e riflettendo la posizione strategica della Siria nel mondo arabo, una coalizione di potenze regionali e straniere si è attivamente impegnata nell’intento di rovesciare il governo di Damasco e ha rapidamente preso il controllo della campagna di proteste. In risposta, e per ragioni simili, gli alleati del presidente Bashar Assad hanno mobilitato uomini e risorse per preservarlo.

La tragedia del conflitto siriano è che, di conseguenza, non può più essere risolto dai siriani sulla base delle priorità siriane. Piuttosto, il destino del paese e della sollevazione avvenuta dieci anni fa è ostaggio di una serie di piani stranieri. La Siria è divenuta semplicemente un’arena e il suo popolo carne da cannone, per le ambizioni degli altri.

Dopo l’invasione, l’occupazione e la distruzione dell’Iraq da parte degli Stati uniti nel 2003, la Siria è rimasta l’unico Stato arabo al di fuori dell’orbita occidentale. Allineato con l’Iran, alleato con Hezbollah e sostenitore di vari gruppi di resistenza palestinesi, ha costituito un perno dell’Asse della Resistenza. Il suo ruolo durante la guerra in Libano del 2006 e il successivo riarmo di Hezbollah non è sfuggito a Israele, agli Stati uniti o ai loro alleati arabi.

Dopo la pace del leader libico Muammar Gheddafi con il presidente Usa George Bush e il premier britannico Tony Blair, Damasco rimase l’unico partner arabo di Mosca. E sebbene Assad godesse di relazioni più strette con la Turchia di Erdogan di qualsiasi altro leader arabo, andarono in frantumi quando Ankara, avvelenata dagli sconvolgimenti regionali del 2011, rimpiazzò la sua politica «zero problemi con i vicini» con la sponsorizzazione dei Fratelli musulmani nel tentativo di espandere la sua influenza nella regione.

I molti avversari della Siria hanno avuto ampie motivazioni per vedere il regime cacciato da Damasco oppure lo Stato e le sue istituzioni indebolite, o entrambe le cose.

La fortuna di Assad è stata che la coalizione a sostegno del suo governo era più coesa, coerente e impegnata di quella avversaria. Mentre i russi e gli iraniani continuano ad avere politiche molto diverse riguardo il futuro della Siria, sono uniti nella loro convinzione che debba essere guidata da Assad e, cosa più importante, erano e sono pronti a investire le risorse necessarie per raggiungere il loro obiettivo comune.

Al contrario, Turchia, Qatar e Arabia saudita non sono riuscite a smettere di discutere in merito a quale dei loro gruppi avrebbe dovuto guidare la coalizione di opposizione e dove avrebbe dovuto avere la sede. Israele dopo l’inizio delle proteste popolari, è stato principalmente interessato alla distruzione della potenza militare della Siria e alla riduzione dell’influenza iraniana.

La Turchia invece si è interessata al suo conflitto con i curdi, mentre Washington ha oscillato tra politiche di indebolimento e rimozione di Assad. Ancora più importante, per una serie di ragioni e nonostante le enormi quantità di armi e denaro che insieme riversavano in Siria, i sostenitori dell’opposizione alla fine si sono tirati indietro rispetto l’impegno per ottenere un cambio di regime. Non hanno mai sviluppato un piano chiaro per una Siria post-Assad.

Uno sviluppo chiave è stata la rapida crescita dei movimenti jihadisti, in particolare l’Isis nel 2014-2015. Da un lato, è impossibile separare il loro emergere dall’occupazione dell’Iraq e i piani perseguiti in Siria dopo il 2011. Allo stesso tempo gli avversari di Damasco, di fronte al mostro creato dalle loro politiche, hanno cercato di utilizzarlo e distruggerlo simultaneamente, finendo in un’ulteriore incoerenza politica.

Il conflitto siriano avrebbe dovuto trasformare radicalmente l’equilibrio strategico del Medio Oriente. Alla fine lo ha fatto ma in modi inaspettati. Mosca, di fronte alla prospettiva di uno sfratto globale dal mondo arabo, si è sostituita in pochi anni agli Stati uniti come potenza indispensabile della regione.

L’Iran, nonostante le politiche decennali volte a isolarlo, ha oggi, a causa della sua partecipazione al conflitto siriano, un ruolo chiave. Da parte sua Hezbollah si è trasformato da movimento di guerriglia in una forza militare in grado di penetrare nel territorio israeliano. Gli alleati tradizionali di Washington, pur continuando a considerare gli Stati uniti come il massimo garante della sopravvivenza dei loro regimi, sono arrivati a vedere Washington come inaffidabile e hanno cercato relazioni più strette con Israele, Russia e Cina.

Ci sono numerosi fattori che hanno attraversato la regione durante l’ultimo decennio di sconvolgimenti, ma in termini geopolitici il conflitto siriano non ha rivali. La Siria continuerà per decenni a subire l’orribile costo di questo conflitto in termini di vite umane, distruzione materiale e sfollamento di milioni di persone.

La ferocia di questa guerra è spesso attribuita alla brutalità del regime e dell’opposizione, al settarismo e ad altri fattori interni. Sebbene ciascuno di questi abbia avuto un ruolo, alla fine il conflitto in Siria non avrebbe potuto persistere così a lungo, o essere così pesantemente violento, senza il coinvolgimento sistematico di potenze straniere.

Non è tanto il fatto che i siriani non siano riusciti a risolvere le loro divergenze ma che sia stata rifiutata loro la possibilità di farlo da parte delle potenze straniere intente a perseguire i loro piani sul suolo del loro paese. È la tragedia degli ultimi decenni.

*Analista e co-editore del portale politico-culturale Jadaliyya