Con lo sguardo rivolto a una sua possibile riammissione nella Lega Araba, da cui fu estromessa su pressione di Arabia saudita e Qatar, la Siria ieri ha festeggiato la riapertura del valico di frontiera di Nassib, con la Giordania, riattivando il suo principale sbocco commerciale estero dopo ben tre anni. Ma ha brindato anche per un’altra riapertura, quella del transito di Quneitra sul Golan. E in questo caso la rilevanza politica è enorme. Il via libera del governo di Benyamin Netanyahu alla richiesta fatta dell’Undof, il contingente dell’Onu che “osserva” le linee di armistizio tra lo Stato ebraico e Siria, rappresenta il riconoscimento da parte di Israele che Bashar Assad è saldamente al potere a Damasco e ormai ha sconfitto le forze che intendevano spodestarlo con l’aiuto delle monarchie arabe del Golfo e di alcuni paesi occidentali.

Nel 2014 l’Undof aveva abbandonato il versante siriano del transito caduto nelle mani dei qaedisti di al Nusra e altri miliziani jihadisti. Governo e comandi militari israeliani quindi cominciarono ad accarezzare l’idea di creare una zona cuscinetto davanti al Golan, un territorio siriano che Israele occupa da 51 anni e che non intende restituire. Non certo a caso, proprio quell’anno, entrò in scena un esponente dell’opposizione siriana, Kamal al Labwani, per sollecitare l’intervento militare di Israele a sostegno della “rivoluzione anti-Assad” in cambio della fine delle rivendicazioni siriane sul Golan e della creazione di una “zona di sicurezza”. Infine qualche mese fa le autorità israeliane hanno confermato che, oltre ad aiuti umanitari, hanno consegnato anche armi e soldi ai miliziani anti-Damasco che operavano vicino al Golan. La liberazione dalla presenza di gruppi jihadisti e qaedisti nella Siria meridionale compiuta durante l’estate dall’esercito siriano, con l’appoggio russo, ha messo fine ai progetti di Israele. E Netanyahu, accettando la riapertura del transito, ha dato la sua benedizione al ritorno a Quneitra della situazione antecedente al 2011 e alla guerra in Siria.

Non lontano da Quneitra ieri si celebrava la ripresa del traffico commerciale tra Siria e Giordania attraverso il valico di frontiera di Nassib, rimasto nelle mani di formazioni armate per tre anni. Amman da tempo segnalava che la stabilità della Siria, sotto Bashar Assad, vuole dire stabilità anche per la Giordania. E non è un mistero che la monarchia e il governo sperino che la riapertura del valico contribuisca al rientro nel loro paese di circa 600mila profughi siriani. Senza dimenticare che se Nassib è un polmone economico per la Siria, la sua riattivazione dovrebbe ridare slancio anche al commercio giordano, in una fase in cui il regno hashemita affronta una difficile crisi che la scorsa estate ha innescato proteste e manifestazioni ad Amman e in altre città.

A Damasco si sorride ma resta irrisolto il nodo di Idlib, l’ultima importante regione della Siria nelle mani dei miliziani dell’ex Fronte al Nusra e di altri gruppi armati. Ieri è scaduto l’ultimatum per il ridispiegamento delle milizie anti-governative che si trovano a Idlib e nei suoi dintorni, fuori dalla striscia di territorio che sarà “smilitarizzata” secondo l’accordo turco-russo di un mese fa. Tuttavia nella fascia di territorio, che sulla base dell’intesa dovrà essere pattugliata dall’esercito turco, restano migliaia di miliziani jihadisti siriani e stranieri che rifiutano l’intesa tra Mosca e Ankara e si dicono pronti a combattere. Nel frattempo si torna a parlare di armi chimiche. La Bbc sostiene che almeno106 attacchi chimici sarebbero stati sferrati in Siria contro i civili dal 2014 ad oggi.