L’anomalia del centrosinistra romano viene aggredita perché estranea all’idea consociativa, perché lontana dalla relazione storica tra poteri economici, politica e istituzioni. La frase simbolo di Marino «i potenti della città devono abituarsi a venire alle riunioni in Campidoglio, non viceversa» esprime un cambio di rotta che sovverte il sistema gerarchico tra economica e politica degli ultimi venti anni. Pianificare, indebolire il sistema partitocratico annidato in partecipate e municipalizzate, smontare il ruolo consociativo di partiti e forze sociali (tutte, anche quelle più “radicali”). Su queste virtù cade il sindaco.

Ma, purtroppo, Marino avanza questa sfida in estrema solitudine, tentando una propria operazione di potere, lanciando segnali di sfiducia e di provocazione a tutte le forze politiche e sociali, dividendo la città in «chi mi ama» e «chi non mi ama», da subito. Non ha saputo, in questi affondi in cui narcisismo e buona politica si confondevano, lavorare sulla parte positiva e sana di Roma, presente nel corpo del lavoro pubblico, in molte forze politiche e sociali, in parte dei movimenti e del civismo locale, nell’imprenditoria non parassitaria. Un giacobinismo senza popolo, che costituisce il secondo motivo della caduta. Non ha saputo costruire un blocco sociale fondato su una strategia, su un disegno di città, ma ha provato a costruirlo sulla retorica delle regole e della legalità, oltre che sull’adesione alla propria immagine. Fatale, inoltre, l’errore di umiliare Sinistra ecologia e libertà, una forza politica alleata nei momenti più difficili, quelli in cui prima il Pd locale, poi quello nazionale affondavano colpi mortali.

Il sindaco a luglio, quando Renzi ha già pubblicamente decretato la sua fine, sacrifica un’esperienza di centrosinistra che aveva avuto il sostegno di centinaia di migliaia di persone nel 2013 per affidarsi al monocolore del Partito democratico. Un “golpe” che imprime una svolta nell’agenda del governo locale: apertura di Ama ai privati, riapertura del dibattito sulla privatizzazione di Atac, inserimento nel cda di Musica per Roma di nomi che vanno da Azzurra Caltagirone a Luigi Abete, Nicola Maccanico e Giovanni Malagò.

La discussione sulle ragioni della crisi di questa esperienza, non possono trascurare queste evidenze. La stessa ripartenza deve tenere in considerazione l’eccezionalità e le conquiste di questi due anni e mezzo di amministrazione. Se la sinistra vuole vincere la sfida del governo senza subalternità nei confronti del passato e dei tentativi di egemonia renziana, deve avere il coraggio di recuperare la parte intelligente e spudorata dell’esperienza Marino, quella che ha fatto intendere ai poteri tradizionali «Governa chi ha il mandato popolare» e ha tentato la pianificazione come prerogativa nel governo della cosa pubblica. A questo, unire una idea di città che promuova civismo, partecipazione e alleanza con le economie sane e dinamiche della città. Dialogare con tutti, dentro un perimetro democratico, laico e civico e di sinistra diffusa, farsi soggetto attivo di questo dialogo, consapevole che Sel e le relazioni che esprime sono l’unica realtà che in questi due anni e mezzo è rimasta coerente con il mandato elettorale e lontano dal malaffare.

Se qualcuno vuole fare di Roma il laboratorio per rattoppate ricomposizioni di canuti gruppi dirigenti della sinistra, dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di spiegare che a Roma si rischia la Vandea, che sia neofascista o populista. Dialogo aperto quindi, dalla politica alla società, chiamando a raccolta la cittadinanza attiva, l’antimafia sociale, gli intellettuali e il mondo della cultura che in questi due anni e mezzo si sono mobilitati tornando a soffiare speranza su Roma.
*capogruppo Sel in Campidoglio